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La Cederna fu un mirabile esempio di giornalismo. In prima linea nella contro-inchiesta sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Libro fondamentale per capire meglio i cosiddetti anni di piombo.
Cerco di evitare di rispondere alla precedente recensione perchè, al di là di tutto, si qualifica da sola: non una riga sul libro, ma sull'autrice. Il libro in questione è "storico" in tutti i sensi: racconta una vicenda mai dimenticata e fu un vero e proprio atto di denuncia da molti ancor oggi ricordato. Lo stile è giornalistico, ma con brevi approfondimenti storici (personali e nazionali) e permette di leggere agilmente e venendo coinvolti nell'esposizione dei fatti. La prefazione di Deaglio contestualizza l'opera e racconta brevemente l'autrice: di certo una giornalista votata all'attacco. Il libro si conclude senza una conclusione, essendo stato scritto prima del termine delle vicende processuali, ma rimane molto importante per ricordare la vicenda della morte (e della ricerca di giustizia) del ferroviere Pinelli.
"Camilla Cederna fu quasi la mandante morale dell'omicidio Calabresi": parole di Vittorio Sgarbi, per le quali fu denunciato dalla scrittrice, ma assolto sia in Appello che in Cassazione. A venire condannata fu invece proprio Camilla Cederna, quando lanciò false accuse contro il Presidente della Repubblica, Leone, (e i suoi figli) inviso al suo partito, la DC, perché aveva firmato la legge sull'aborto e, soprattutto, perché nell'ormai vicinissimo "semestre bianco" non poteva sciogliere le Camere, esponendo la DC a tutti i possibili ricatti da parte del PCI, allora con oltre un terzo dei seggi e membro della maggioranza, con l'ambizione di entrare al governo. La magistratura, anni dopo, ordinò di distruggere tutte le copie residue del libro, che però aveva ormai venduto 600 mila copie, facendo ricca la scrittrice, già ricca per questo libro assurdo.
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