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Nell'ultimo decennio sulla figura e l'opera di Alfredo Rocco, l'architetto dello stato fascista, sono uscite diverse monografie. Un volume dedicato a questo personaggio chiave della storia del fascismo giunge pertanto come utile momento di bilancio e riflessione conclusiva. Peraltro questo volume annovera tra i suoi contributi alcuni ripensamenti storiografici ispirati a diversi tagli disciplinari e non circoscritti all'analisi del solo Rocco e della sua produzione giuridica e politologica.
Fulco Lanchester cerca di mostrare come nei quindici anni centrali della sua vita politica, dal 1914 al 1929, Rocco abbia elaborato una "formula politica", per dirla con Gaetano Mosca, che fosse capace di legittimare la transizione-trasformazione dello stato dall'ambito liberale a quello totalitario, non priva di ambigui riferimenti di tipo razziale. Cercò inoltre di ricucire la frattura con il mondo cattolico e di utilizzare sia l'elemento partitico sia quello carismatico. Lanchester sostiene infine che il fascismo "fornì leader e massa all'ideologia nazionalista". Emilio Gentile pone invece a tema del suo saggio il ruolo che la violenza e l'organizzazione militare del fascismo svolsero nella "demolizione" dell'assetto politico-istituzionale liberale, avviando un dominio politico di tipologia inedita, di cui Rocco fu in gran parte artefice. Didier Musiedlak esamina un aspetto particolare della riflessione del giurista nazional-fascista, ossia la questione dell'esercizio del potere esecutivo. Totalitario sarebbe stato il disegno giuridico di Rocco, frutto non solo della sua teoria, ma anche della prassi mussoliniana. Il duce avrebbe poi seguito Rocco nella strategia di trasformare dall'interno il regime liberal-parlamentare. Nel suo saggio, Alessandra Tarquini affronta una questione classica: il confronto tra Rocco e Giovanni Gentile, in ordine ai temi dello stato, della nazione, e più in generale della visione di cosa il fascismo avrebbe dovuto e potuto essere. Entrambi sarebbero risultati infine sconfitti da un fascismo più partitocentrico che statocentrico.
Meno consueto il confronto proposto da Alba Lazzaretto tra Rocco e Giulio Alessio, esponente di spicco del Partito radicale. Se ne evince, fra l'altro, quanto menzognero e deleterio fu il fascismo per l'autorappresentazione dell'italiano medio. Luciano Zani ci mostra come il cedimento del Senato alla pressione violenta del fascismo fu l'espressione più tangibile della crisi oramai irreversibile in cui era precipitata nell'immediato dopoguerra la classe politica liberale italiana. Eppure proprio dal suo seno si levarono le voci forse più nobili, forti e coerenti dell'opposizione al fascismo, tra cui quelle di Luigi Albertini e Francesco Ruffini. Il saggio di Zani è comunque un ripensamento complessivo della storia dell'avvento del fascismo al potere. Guido Melis firma l'ultimo saggio del volume, e passa in rassegna la letteratura storiografica che si è occupata delle istituzioni in epoca fascista. Il bilancio non è tra i più soddisfacenti: vi è ancora un certo ritardo sotto tale profilo. Melis propone allora alcuni fondamentali punti di partenza per futuri progetti di ricerca sulla storia delle istituzioni del e nel fascismo.
Danilo Breschi
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