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L'invenzione della libertà di stampa. Censura e scrittori nel Settecento - Edoardo Tortarolo - copertina
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L'invenzione della libertà di stampa. Censura e scrittori nel Settecento
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L'invenzione della libertà di stampa. Censura e scrittori nel Settecento - Edoardo Tortarolo - copertina

Descrizione


Esiste un diritto alla censura? O esiste esclusivamente un diritto a esprimersi pubblicamente senza freni? L'idea moderna di un diritto a comunicare liberamente, fissato nella costituzione, nasce nel Settecento attraverso una complessa discussione europea in cui voci discordanti di autori, amministratori, stampatori e censori si scontrano alla ricerca di un equilibrio sempre instabile tra le ragioni dell'indipendenza espressiva, la ricerca del profitto economico e la necessità di garantire la stabilità delle istituzioni: un tema che la crescente preoccupazione per le trasformazioni introdotte nella vita quotidiana dai nuovi media ha reso prepotentemente attuale.
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Dettagli

2011
16 marzo 2011
223 p., Brossura
9788843055784
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Indice

Premessa
Introduzione
Censura internalista, censura esternalista
Europa e Asia: quanto diverse?
1. Un controllo inevitabile?
Due modelli
Un'illiberalità sognata
Le crepe interne
2. La contrastata affermazione della libertà di stampa in Inghilterra
Dalla censura alla libertà di stampa
Dalla libertà di stampa al principio dell'autocontrollo
3. Ambiguità funzionale della censura e illuminismo francese
"Viviamo in un paese dove la licenza non domina"
Il paradosso di Montesquieu
Pratica e teoria della stampa
Il rispetto per la verità: d'Holbach, Diderot, Voltaire
Rousseau: introiettare la censura
Condorcet e il radicalismo dell'interesse pubblico
4. I censori garanti della libertà di stampa
Malesherbes e l'autoriforma della Librairie
Nel mondo dei censori reali
Tentativi di censura dialogica
"La libertà di pensare e di scrivere" e il progresso economico
5. Equivoci e nuovi significati
La "politica del libro" in Europa
La fine del modello di ambiguità funzionale e libertà partecipata
Note

Voce della critica

Obiettivo del libro è quello di mostrare come in Europa, tra la fine del Seicento e la fine del Settecento, si impose la libertà di stampa: attraverso una delegittimazione sul piano intellettuale e un'erosione nei fatti dell'apparato di censura sorto nei paesi cattolici e protestanti durante la crisi religiosa del Cinquecento, un apparato che in queste pagine appare tutt'altro che efficace e, anzi, basato su una divaricazione fra strategie repressive e loro reale efficacia.
Analizzate le principali interpretazioni della censura (con attenzione tra l'altro alla psicoanalisi e alla New Censorship, che vi scorge un elemento inevitabile, nonché un aspetto del processo creativo), il percorso verso la libertà di stampa viene seguito innanzi tutto in Inghilterra, dalla crisi delle istituzioni di controllo durante la prima rivoluzione sino alla Restaurazione, che lasciò comunque le competenze al parlamento, quindi dalla seconda rivoluzione con la definitiva abolizione della censura preventiva (1688) ai tentativi di reintrodurla che diedero vita ad accese discussioni. In effetti, mentre nell'Europa continentale l'Inghilterra appariva la patria della libertà di stampa, all'interno non mancavano limiti (in particolare, la monarchia usava il reato di calunnia sediziosa per accusare autori e stampatori). Nel contesto inglese l'esito fu comunque il progressivo passaggio da una libertà "sfrenata" a un sistema basato sull'autocontrollo di scrittori e stampatori, secondo l'idea che la libertà di stampa dovesse essere limitata dal senso di responsabilità di ciascuno; un sistema ricostruito dall'autore anche dando voce alla riflessione di numerosi letterati, filosofi e storici (Toland, Hume, Gibbon, per citarne solo alcuni). Tra i fattori che spiegano tale esito si individuano il timore che una totale assenza di controllo potesse avvantaggiare i papisti e la nascita nel 1709 del copyright e della proprietà letteraria da parte degli autori, che favorì il sorgere di un senso di responsabilità verso i propri testi.
Notevole spazio è poi dedicato alla Francia. Da un lato si ricostruisce il dibattito sulla libertà di stampa nel mondo illuministico, tutt'altro che compatto: Voltaire non condivideva la difesa di una libertà totale, sostenuta invece da Helvétius, e l'interiorizzazione del controllo da parte dell'autore teorizzata da Rousseau era cosa diversa dalla richiesta di abolizione della censura preventiva espressa da Condorcet e Mercier. Dall'altro lato, esaminando il funzionamento del sistema di censura preventiva si porta alla luce la sua "ambiguità funzionale", legata tra l'altro al doppio ruolo di censori che erano al contempo scrittori (Fontenelle, per esempio) e caratterizzata dalla collaborazione degli autori, disposti ad adattarsi alle richieste della censura e a esercitare in tal modo forme di autocontrollo (lo mostrano, tra gli altri, i casi di Montesquieu, Buffon e la vicenda della Encyclopédie, protetta da Malesherbes, direttore della Librairie). I censori – gruppo coeso – appaiono all'autore garanti della libertà di stampa, per riprendere il titolo di un capitolo, portatori di un'idea di libertà "partecipata" (contrapposta alla libertà "assoluta", cioè incondizionata, prevista dal regime inglese): era una libertà "discreta", fatta di contrattazione tra scrittori e censori e funzionale all'"l'economia del libro" perché permetteva allo stato di proteggere la lucrosa attività editoriale. Questa libertà, fatta di tolleranza dei censori e autocontrollo degli autori, sarebbe il tratto saliente della censura settecentesca in Europa: si troverebbe anche nel mondo asburgico, in Prussia, in Svezia, nel regno danese-norvegese, negli stati italiani; nelle stesse Province Unite poi, ove l'assenza di una censura preventiva fu avvertita da alcuni contemporanei come libertà eccessiva, non mancarono casi di negoziazione da parte di giornalisti.
L'Europa della censura, studiata cercando di coniugare storia delle idee, storia delle norme legislative e storia delle pratiche, emerge nei suoi tratti unificanti. Non significativa sembra infatti, in questa ricostruzione, l'esistenza nelle penisole italiana e iberica di Indici dei libri proibiti e di tribunali dell'Inquisizione, pur attivi nel secolo dei Lumi. Il Settecento è un secolo di ragione ed equilibrio, e la libertà di stampa che esso garantiva, se non era completa, era certo "ragionevole". Affiora così un'immagine positiva della censura e dell'autocensura, intese quali strumenti di civilizzazione nella misura in cui esprimevano la volontà di rispettare canoni di moralità collettiva e servivano a evitare tensioni e contrasti, tenendo insieme la società, ché la censura, per riprendere le parole dell'autore, che parafrasa George Bernard Shaw, "può essere considerata certamente una forma di – limitata – tolleranza, preferibile alla soppressione fisica di un interlocutore sgradito".
Patrizia Delpiano

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