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recensione di Castelnuovo, E., L'Indice 1995, n. 9
"Allora persino un desiderio di riandare le sue private faccende ci punge; tacciono le carte e se parla qualcosa sono ancora i corpi bianchi delle sue strade assolate che salgono verso l'appennino le sue vallette i suoi ponti; e ad un gomito della strada di Marradi, in un pomeriggio inoltrato, poniamo nel 1499, ci accade di veder raggiungere il cavallante che partito di mattino da Firenze se ne va a Faenza. Accanto spunta la berretta di un pittore, già innanzi negli anni, che se ne sta a testa china, tra i sobbalzi del carro, a consumare, come nelle sue pitture, le ultime provviste fiorentine".
Un finale così in cui al silenzio dei documenti supplisce l'evocazione del vecchio artista che trascinato dal carro su per i gomiti delle strade bianche dell'Appennino rimastica gli ultimi ricordi fiorentini non può appartenere che a Roberto Longhi, e, per dirla con Cesare Garboli, a un Longhi di grande annata. Siamo difatti intorno al 1925 quando Longhi - riprese, ordinate e elaborate le schede del suo lungo viaggio iniziatico per l'Europa - scrive i celebri saggi per "Vita Artistica" e prepara il "Piero" che uscirà nel '27; e sono queste le ultime righe di un intervento su un elusivo fiorentino operoso in Romagna: Andrea Utili, come credeva allora il Longhi che ne ricostruì il corpus e la cultura, o piuttosto Biagio d'Antonio come vennero a provare i documenti che però non scompaginarono in niente l'immagine che ne era stata restituita. È questo uno degli inediti raccolti in volume sotto il titolo allusivo, ma storico (in quanto adombrato dallo stesso autore) "Il Palante Non Finito".
Inediti di Longhi; chi abbia letto le scintillanti pagine di taccuino di viaggio pubblicate da Francesco Frangi (il curatore della presente raccolta) su "Il Sole 24 Ore" sa cosa aspettarsi e nutrirà una attesa che non sarà delusa. In questo volume sono pubblicati una decina di scritti che sono rimasti esclusi dai due primi volumi delle "Opere Complete (Scritti giovanili e Saggi e Ricerche") che coprono questo periodo. Si tratta di un capitolo cruciale della inedita tesi di laurea su Caravaggio, quello sui precedenti lombardi: "I preparatori del naturalismo", del pamphlet "Keine Malerei-Arte Boreale?" nato non per caso nel fatale anno 1914, dove tutta la antica (l'antica badiamo bene, non la nuova, non l'impressionismo) pittura transalpina (Van Eyck e Van der Weyden, Memling e Fouquet, Dürer e Altdorfer) è gettata nelle 'poubelles', di due saggi di ambito caravaggesco ("Carlo Saraceni" del 1917, "Giunte e varianti ai due Gentileschi' del '20-21) e di un gruppo più omogeneo di contributi su problemi e personaggi quattrocenteschi, da "Due tavolette del Parenzano a Lucca" a "Restituzione dell'Utili", alle "Escursioni Belliniane", a "L'esordio di Lazzaro Bastiani a "Vexata quaestio (la collaborazione di Musolino e Masaccio)". Sono quindi due distinti gruppi, l'uno caravaggesco e paracaravaggesco, appartenente agli anni tra il '10 e il '20, l'altro un poco più tardo (intorno al '25) centrato su grossi problemi quattrocenteschi tra Firenze e Venezia. In più, isolato ma cronologicamente appartenente al primo, lo sfogo antiboreale sulfureo e un po' provinciale che bene si accoppierebbe alla contemporanea "Breve ma veridica storia della pittura italiana" anch'essa non compresa da Longhi nelle "Opere Complete", ma che anni fa Anna Banti volle riesumare.
Ci sono in questi inediti passi bellissimi, ci sono, nel loro farsi nella loro preparazione, le anticipazioni di alcuni grandi temi longhiani (la cultura del Caravaggio, i caravaggeschi, l'itinerario del Bellini, il problema Masaccio-Masolino). Ci sono gli incunaboli del suo 'modus operandi', corredati da una essenziale annotazione del Frangi e da un amplissimo apparato di varianti a cura di Cristina Montagnini, esimia filologa.
Centrale il problema di "comment parler peinture" che si poneva il Longhi ventenne nella sua tesi di laurea su Caravaggio. Si legga questo pezzo sulla "Cena in casa di Simone" nel Moretto a Brescia e si rifletta su quell"...enunciare non dice nulla": "Spazio ridotto, chiuso da un muro su cui la luce staglia obliqua vivamente come in Caravaggio. Ambiente determinato dal tavolo suvvi la tovaglia e le vivande, dall'oste che giunge con un cesto di frutta, da un garzoncello dal fondo. Ma enunciare non dice nulla. Ecco: il tavolo è di legno rozzo, posto su cavalletti, la tovaglia di bucato si piega in cannelloni lunghi e morbidi con ombre lucide e chiare. Sul tavolo è la qualità delle vivande; dei piatti di stagno due pezzi di pollo, un coltello in iscorto, un pane raffermo tagliato col coltello; il baciletto di frutta che l'oste porta potrebbe essere di Merisi, senza disposizione prestabilita; analizzato nella forma di ogni pera fino al picciuolo, ed alle foglie rimaste".
C'è un primo esempio dei famosi dialoghi tra artisti "che ci potrebbero far sospirare e riflettere su tutto quello che allora si sapeva, e che ora non si sa più" di cui Longhi fece più di una volta uso per illuminare dal vivo una situazione. Qui, nel saggio sul Gentileschi, s'incrocia nelle vie di una Roma caravaggesca un fitto scambio sugli ultimi prodotti dei naturalisti, su Tanzio da Varallo e sul Vermiglio, su Carlo Saraceni, su Ribera e sul Valentin: "Hai visto il San Tommaso incredulo del pittore piemontese? Parli di Antonio, quel di Varallo? di lui non conosco che il quadro che fa per l'Abruzzo; la madonna è troppo greca, ma vi sono buoni pezzi; mi ricordo di un ginocchio e di una grande viola che suona quell'angelo; e si vede che è parziale del Caravaggio"... "io per me credo che se Carletto ritorna a Venezia, come dicono, il nuovo Caravaggio sarà lo straniero che sta alla Scrofa. Parli dello Spagnolo matto di Valenza? Che se anche è buon pittore è troppo vero e dà nell'orrido. Io intendo di Valentino Colombino che è pittore più di tutti questi spagnoli, e meglio. Vidi la pittura piccola di un Salomone con un certo fuoco e spirito che promette e vuol mantenere; ed io intendo che si deve dipingere a quel modo...".
Si affacciano qua e là le emozioni e le esperienze del conoscitore, come a proposito di un quadro del Saraceni presso i Corsini: "È gran tempo che non rivedo quella pittura di Carletto a Firenze, pure nel ricordo la sua bellezza mi si fa più chiara, con una certezza di anamnesi visiva, i cui procedimenti sono ben noti ai goditori di pittura; cui tocca di trovarsi un bel giorno appassionati per un'opera che quando si vide non piacque, senza tuttavia averla rivista; e con un gran desiderio di rivederla". O ancora un passo di una lettera pittorica a Geza de Francovich a proposito della ricostruzione della personalità del pittore che Longhi credeva essere Andrea Utili e De Francovich Benedetto Ghirlandaio: "Immaginiamo infatti due esploratori che da opposte strade siano giunti sul medesimo promontorio sconosciuto in giorni diversi e gli abbiano imposto ciascuno un nome diverso; facciamo che si incontrino più tardi e parlino del loro viaggio e citino il promontorio scoperto col nome preferito; dopo qualche incertezza sulla somiglianza dei profili, sui dati altimetrici e planimetrici della fauna e della flora finiranno per accorgersi che parlano di un solo promontorio; è facile tuttavia ch'entrambi continueranno a denominarlo ognuno a modo suo.
E c'è anche, in "Keine Malerei", qualche ribalderia del Longhi giovane compagno di strada dei futuristi e protervo propugnatore dei valori stilistici nazionali dove il ghigno di Franti presiede a una decostruzione dell'"Agnello Mistico" di Van Eyck: "O finirà una buona volta questo odiosissimo agnello di scivolare sul piano inclinato fin dentro la fontana"? o alla distruzione delle "Très belles Heures" del Duca di Berry: "Io mi rimisi a dormire la notte che svegliandomi nella soffitta di Via Po mi vidi arrostire dalle fiamme della biblioteca dove bruciavano le Ricchissime Ore del Duca di Berry".
Cose disparate, disparatissime come si vede, accomunate dal fatto di essere inedite, il che potrebbe sembrare - e in parte lo è - un filo un poco tenue. Un inedito si può caratterizzare in molti modi, ma è pericoloso usarlo come categoria senza peccare per eccesso di empirismo. Del resto Longhi non fu, come per esempio Burckhardt, un determinato occultatore dei propri scritti e avendo avuto l'occasione in vita di programmare e organizzare l'edizione della propria opera completa, quanto non pubblicò fu da lui, verosimilmente, deliberatamente scartato, ciò che non interdice l'esplorazione ed eventualmente la pubblicazione del suo "Nachlass". Esistevano soluzioni e possibilità diverse per presentare questi inediti e il lettore se ne renderà conto leggendo la prefazione di Cesare Garboli e la nota di Mina Gregori che aprono in cortese polemica il volume.
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