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"Gli ultimi giorni della classe operaia" è una saga familiare e sociale nascosta da una polifonia di personaggi raccontata da un unico narratore. Lo sfondo è quello della zona siderurgica tra Francia, Germania e Lussemburgo, affollata di emigrati italiani, trasferiti in massa alla ricerca di un lavoro per iniziativa propria o imposizione statale. In luoghi non lontani da Marcinelle, i personaggi vivono la progressiva dismissione dell'attività estrattiva ed industriale, mentre in parallelo si racconta la forza della fede nel comunismo e nella solidarietà sociale, disgregati dalla situazione economica, la progressiva conseguente disillusione, ma anche la conquista della cultura delle generazioni successive con l'inevitabile perdita dell'identità comune. La partecipe sofferenza del narratore si maschera di uno stile quasi aulico, la cui lingua (nella versione originale francese) è forse influenzata da una certa contaminazione dall'italiano (male padroneggiato però: alcune citazioni dirette non sono prive di sostanziali errori grammaticali e sintattici). Tra eventi pubblici, documenti storici, episodi privati Aurélie Filippetti, con prosa ricercata, tenta un'elegia della classe operaia, osserva il dolore di un popolo - omogeneo per acculturazione politica e occupazione più che per provenienza - in estinzione, cerca di farne sopravvivere le tracce raccogliendone gli ultimi ricordi. La struttura, infatti, è quella di una disorganica antologia di frammenti mnemonici che sembrano riaffiorare casualmente, senza un'orditura cronologica, come se l'autrice ripensasse al proprio passato e trascrivesse ciò che le viene in mente, sebbene lo stile denoti una forte rielaborazione, mentre i costanti passaggi temporali finiscono per fornire un parallelo tra i diversi episodi e creano una continuità, emozionale prima che storica.
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