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L'opera di Quintiliano non necessita di lunghe presentazioni, essendo ben nota la sua importanza storica anche (se non soprattutto) come deposito finale delle nozioni di una disciplina - l'oratoria - fra le più prestigiose della romanità. D'altra parte, il minimo che ci si attende da chi acquista un'edizione come questa della Pleiade Einaudi è la conoscenza, anche solo basilare, dell'argomento. Sconsiglierei l'acquisto a chi, magari soddisfatto da Cicerone o Seneca, volesse 'saggiare' un'esperienza nuova: le 'Istituzioni' non si propongono come una lettura amena o piacevole. Salvo alcune oasi isolate, il testo va inteso come un manuale tecnico vero e proprio per principianti dell'arte retorica. Tra l'altro lo stesso autore, contrariamente all'Arpinate, tendeva a concedere poco spazio nei suoi scritti al proprio personalismo. Fatte queste dovute precisazioni, resta il fatto che quest'opera deve avere il suo spazio nella biblioteca di qualsiasi amante della classicità.
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"Se cercate il vero imperatore del genere umano, è la vostra eloquenza che governa, è l'eloquenza che domina le menti. Essa incute paura, concilia amore, suscita l'operosità, fa tacere l'impudenza, esorta la virtù, reprime i vizi, persuade, addolcisce, insegna, consola" . Con queste parole il retore Frontone scrivendo a Lucio Vero, imperatore insieme a Marco Aurelio, poco dopo la metà del II secolo d.C., riaffermava con vigore l'importanza centrale della retorica nell'ambito della comunicazione pubblica, come tecnica dell'argomentazione persuasiva, da indirizzare a scopi virtuosi. Egli reagiva a una diffidenza che la retorica aveva tradizionalmente suscitato in una parte dell'opinione pubblica fin dai tempi di Catone, quando Carneade aveva argomentato spregiudicatamente pro e contro la giustizia di fronte al pubblico romano. Contro la retorica come tecnica che si fa arma dell'ingiustizia e della menzogna si esprimono anche autori cristiani, in nome di una verità che non ha bisogno di adottare alcuna strategia persuasiva, ma converte con il suo solo mostrarsi, anche in forme semplici e rozze. Come rimedio contro i rischi di un cattivo uso dell'abilità oratoria e della capacità di persuadere, Cicerone aveva teorizzato la necessità che chi padroneggia l'arte della parola sia vir bonus , uomo onesto, e agisca nell'interesse della collettività. Vir bonus dicendi peritus era anche l'oratore ideale di Quintiliano.
Oggi, nel mondo della comunicazione di massa, viviamo immersi nei discorsi persuasivi, per buone come per cattive cause: accertare l'onestà dell'emittente è certo auspicabile, ma riduttivo. Più produttiva appare una ripresa e un aggiornamento delle nostre conoscenze sui meccanismi che concorrono a comporre il discorso argomentativo, per portarlo a trasparenza e fornire al pubblico strumenti critici di valutazione, mentre si arricchisce la nostra riflessione sulla teoria delle prove non dimostrative, sottraendole all'intuizionismo e restituendole alla razionalità, come ebbe a sottolineare Norberto Bobbio nell'introduzione alla Nuova retorica di Perelman. In questa prospettiva riveste un particolare interesse la pubblicazione, nella "Biblioteca della Pléiade" Einaudi, di una nuova edizione dell' Institutio oratoria di Quintiliano, trattato sulla formazione dell'oratore in cui sul finire del II secolo d.C. l'illustre maestro di retorica faceva confluire la sua ventennale esperienza di insegnamento. Il curatore dell'opera, Adriano Pennacini, nella vivace e attualizzante prefazione sottolinea l'importanza di una rilettura e di una reinterpretazione della retorica antica al fine di "riorganizzarla in forme, strutture e strumenti idonei a promuoverne una significativa e proficua ricollocazione nella società contemporanea". L'importante apertura alle tematiche e ai problemi dell'attuale comunicazione politica e di massa (il titolo della prefazione è appunto Dalla comunicazione di massa alla retorica classica ) si accompagna a rigore di metodo - quello della buona, tradizionale filologia classica - nella redazione della traduzione e dell'ampio e spesso dotto apparato di note, realizzati da una nutrita équipe di studiosi coordinata da Pennacini (alla mano di Pennacini si deve il libro terzo, oltre alla sezione introduttiva con la vita di Quintiliano, la bibliografia e la nota al testo; gli altri libri si devono a Teresa Piscitelli, Rossella Granatelli, Dionigi Vottero, Valeria Viparelli, Maria Silvana Celentano, Marisa Squillante, Franca Parodi, Alberto Falco, Antonio Maria Milazzo, Maddalena Vallozza, Rossana Valenti). Un'opera dunque che si propone sia agli addetti ai lavori sia a un pubblico più vasto di lettori, interessato a "capire il funzionamento della grande, ingegnosa, sovente affascinante macchina della persuasione"e, aggiungerei, non incline alle verità assolute.
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