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Anno edizione: 2000
Anno edizione: 2012
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Pubblicati entrambi nel 1962 (a botta calda, un anno circa dopo il viaggio), fra L'odore dell'India di Pasolini, che evoca suggestioni più legate alla sfera sensoriale, viscerale e L'idea dell'India di Moravia che suggerisce una visione più razionale e didascalica dello stesso soggetto condiviso dai due viaggiatori, il passo è breve. Breve nel senso che, se ne leggi uno è allettante leggere pure l'altro, perché non è frequente trovare due tali fari puntati sullo stesso oggetto rivelando luci e ombre diverse: lo trovo un bell'esercizio di comparazione. "La mia posizione è quella di accettare ma non di identificarmi, quella di Pasolini, come del resto in tutta la sua vita, di identificarsi senza veramente accettare." Entrambi gli scrittori, ovviamente, esprimono comunque qualità letterarie che rendono questi testi un misto fra cronaca, reportage e momento artistico. Ma in tutto questo (piccola parentesi), la terza componente del plotoncino 'non datur', a quel che ne so. Non che mi interessi particolarmente l'elaborazione della Morante, visto che manco mi piace. Anche di Moravia non mi piacciono né i romanzi né come li scrive ma qui c'è un altro approccio narrativo, un altro registro che hanno soddisfatto la passione che nutro per i rimbalzi letterari. Devo dire, però, che i frequenti passaggi alla narrazione in prima persona plurale, unitamente ad un massiccio uso della costruzione impersonale, hanno gettato un ombra professorale - distante, generalizzante e analitica - un po' fastidiosa. Nonostante ciò, questa è stata comunque una lettura scorrevole e istruttiva che consiglio agli interessati all'India che fu, all'India tout court o all'esercizio di parallelismi, confronti e associazioni ideiche.
La prima cosa che ho apprezzato di questo libro sono stati gli angoli arrotondati. Per me è una novità. La seconda cosa, è che c’è una piccola galleria fotografica. In bianco e nero ovviamente. Ma è considerevole vedere ciò che Moravia ha visto con i propri occhi, aiuta nell’immaginazione delle vicende. Ho letto prima “L’odore dell’India” di Pasolini e poi questo. E, mi spiace per gli ammiratori del regista, ma c’è un abisso fra i due autori. PPP è più, come dire, “caciarone”, scrive di getto, senza curarsi minimamente della forma. Moravia era più abituato a scrivere, forse pensando al pubblico prima e a sé stesso dopo, Pasolini lo fa più per sé, secondo me, come quando scrive gli appunti di viaggio sulla carta intestata degli hotel. Alcune parole non sono ancora state decifrate oggi. Moravia ha rivisto e corretto i capitoli, inserendo termini ricercati, più attento alla grammatica. Si è documentato sulle religioni di cui parla oltre a qualche ricerca geografica e storica. Si era preparato per l’intervista con Nehru, ma una volta che ce lo ha avuto davanti, s’era dimentica tutto. Pasolini, s’intuisce, è rimasto profondamente sconvolto dall’India più nera, più arretrata, dall’indicibile sporcizia, dall’estrema povertà che affliggeva il paese del sub continente indiano. Da lasciarlo sgomento, senza parole. Per ogni personaggio incontrato riserva parole buone, ne ha pietà, Moravia, invece, tralascia molti aspetti del carattere o dell’abbigliamento, concentrandosi su altri: le strade brulicanti di ogni forma di vita, i tassisti, le camere di albergo, il mangiare. Pasolini e Moravia erano atterrati a Delhi, proseguendo verso est e arrivando a Calcutta dove sono stati raggiunti da E. Morante. Un viaggio faticoso considerando i mezzi dell’epoca e il soffocante caldo indiano che non perdona. Moravia osserva i monumenti e li descrive con dovizia di particolari e non passano inosservati ai suoi occhi: i corvi, le vacche, i sadhu.
Un buon resoconto di viaggio, descrive ma non emoziona
Recensioni
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