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Anno edizione: 2001
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Rispetto a L'università del crimine, questo primo libro della serie è sicuramente ben ingegnato dal punto di vista della trama poliziesca, e la figura del commissario Charitos è molto più ruvida, intollerante e facilmente irritabile. La crescita del personaggio potrebbe essere dovuta al fatto che con l'invecchiamento le persone si ammorbidiscono, oppure che agli scrittori oggi come oggi tocca autocensurarsi per non inserire giudizi ormai ritenuti razzisti.
Troppo pochi polizieschi nel mio storico di libri letti. Non riesco a dare un giudizio sulla vicenda in sé. Certo non mi ha appassionato, complice anche la difficoltà a ricollegare i nomi con i personaggi (una bella quantità). Complice anche, soprattutto, la figura di Charitos, il commissario. Non esattamente un uomo che sa sorprenderti con un suo lato nascosto, con quella nota che non ti aspetti oltre dell’immagine ruvida e sbrigativa, elemento costante di coloro che sono abituati a confrontarsi con ogni genere di criminale. Ora, non è che io mi aspettassi un uomo che nell’intimità colleziona fiori essiccati, o dedito alla clownterapia negli ospedali; nemmeno avrei voluto il solito commissario in pieno travaglio sentimental-amoroso, in cerca di consolazione e comprensione…Il fatto è che Charitos mi è sembrato proprio un uomo senza colore, per di più abituato a delle considerazioni misere nei confronti della moglie, a delle esternazioni a dir poco sgradevoli sulle identità di genere “Davanti all’abisso che ci divideva, come avrebbe potuto non guardarmi dall’alto in basso, e io come facevo a non trattarla da lesbica?”. Tutti i personaggi sono a loro modo monocromatici, tutto è funzionale ad una storia che parla di omicidi e squallore ma, a mio avviso, in modo monotono; e se anche per il commissario è prevista una evoluzione del profilo umano, credo che me la perderò.
Charitos è un personaggio a cui ci si affeziona facilmente..primo libro di una serie, trama ben costruita e atmosfere tipiche dela Grecia più autentica e verace
Recensioni
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Ogni mattina, alle nove, ci guardiamo. Lui sta in piedi, davanti alla mia scrivania, con lo sguardo fisso su di me, non esattamente all’altezza degli occhi, un po’ più in alto, più o meno alla base della fronte e le ciglia. “Sono un povero stronzo,” mi dice.
Inizia così la prima avventura della serie che vede protagonista il commissario Kostas Charitos, nato dalla fantasia dello scrittore greco Petros Markaris. Charitos è un personaggio che mi è risultato antipatico nelle prime righe e anche la scrittura di Markaris ha fatto attrito con la mia voglia di lettura. Poi, come quando ci si avvicina alle coste della Grecia, si sbarca e si resta affascinati da quella nazione fantastica, toccata purtroppo con violenza dalla crisi economica, anche Markaris e il suo Charitos mi hanno catturata.
Il commissario è un uomo che porta avanti un matrimonio fatto di litigi continui con la moglie Adriana, tanto che sembra di entrare, per certi aspetti, nelle atmosfere del film “La guerra dei Roses”. Una moglie disoccupata alla quale Kostas dà trentamila dracme a settimana, nonostante le lamentele della donna che spenderebbe molto di più, che lo ha costretto controvoglia a munirsi di un bancomat e che trascorre gran parte del tempo davanti alla televisione, criticando la passione del marito per i dizionari. Sì, avete letto bene: dizionari. Perché Kostas non legge romanzi e neppure saggi, no. Il suo modo di rilassarsi, di estraniarsi ma anche di trovare ispirazione per le sue indagini è quello di cercare parole nei vocabolari. Parole che si insinuano nel suo cervello non a caso.
“Non ti sei ancora stancato di leggere da vent’anni sempre la stessa storia? Io la saprei già a memoria, e a quest’ora mi sarei rimbecillita!”
“Che vuoi che faccia, cretina, sentiamo… Che me ne stia a guardare quel deficiente di poliziotto che sbatterei a contare pallottole al deposito, se dipendesse da me?”
Ma il romanzo non è tutto, solo uno scambio di battute pesanti simili a queste, che si trovano proprio nelle pagine iniziali, vale la pena di non fermarsi lì. Sarebbe come osservare una scatola e non aprirla, ritenendola poco gradevole, perdendosi invece quanto di interessante c’è al suo interno.
La vicenda narrata è tipica di un noir, nell’accezione francese del termine che identifica il romanzo poliziesco: un omicidio di una giovane coppia di albanesi che, a prima vista, appare come un semplice delitto passionale. È la morte di una nota giornalista, uccisa negli studi televisivi proprio mentre stava per annunciare in diretta televisiva un clamoroso scoop, a illuminare il primo omicidio con un’altra luce. Il nostro Charitos si trova a condurre le indagini incalzato dalla pressione dei media e del suo capo, ansioso di veder risolto il caso per mettere a tacere gli attacchi della stampa. Tutto qui. E allora, cosa c’è di così interessante? C’è un linguaggio vivace e asciutto, dei personaggi (Charitos in testa) interessanti e non banali, una città che non è la classica metropoli americana, la Parigi o le altre città dei noir francesi ma è l’Atene che ho visitato proprio negli anni in cui nasceva questo romanzo. Ed è anche l’occasione per conoscere (o ritrovare) la cultura gastronomica dell’Ellade, senza abuso, beninteso, perché si tratta solo di siparietti che creano pause rilassanti all’apparenza ma, in realtà, non fanno che aumentare la curiosità sullo svolgimento degli eventi.
Che dire di più? Per ora nient’altro ma senza dubbio cercherò di nuovo Kostas Charitos e la sua Grecia nella penna di Markaris.
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