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Dal Boccaccio al Verga. La narrativa italiana in età moderna
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Dal Boccaccio al Verga. La narrativa italiana in età moderna - Renato Barilli - copertina
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Dal Boccaccio al Verga. La narrativa italiana in età moderna

Descrizione


Perché non rileggere i padri della patria, dal Boccaccio all'Ariosto, dal Tasso al Manzoni, come se fossero gli autori di romanzi appena usciti, sul filo delle emozioni e delle inquietudini più vive? È questo l'obiettivo del saggio di Renato Barilli, il quale, pur volendo allontanarsi dal criterio scolastico di una trattazione globale dei nostri classici, non vuole neppure eccedere nel senso opposto, trascinandoli su un terreno di polemiche spicciole. E così, per ognuno degli autori trattati l'autore tenta un bilancio tra le ragioni della tradizione e quelle dei nostri tempi.
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Dettagli

2003
10 settembre 2003
404 p., Brossura
9788845254840

Voce della critica

Il primo approccio con questa Narrativa italiana in età moderna può lasciare sconcertati. Facendo uso di sprezzatura divertita e consapevole, l'autore apre l'introduzione facendo riferimento a "un eccellente saggio steso da due studiosi statunitensi, Robert Kellogg e Robert Scholes, cui si rimanda chi volesse saperne di più". L'eccellente saggio è stato di recente ristampato dal Mulino, con importante prefazione di Franco Brioschi, e si chiama La natura della narrativa - ma quanti siano ad averlo letto è facile immaginare. L'introduzione, però, prosegue su tutt'altro tono. È un testo di natura metodologica, ma scritto con chiarezza commendevole e si pone come vero e proprio manifesto dell'opera.

Intanto, la questione capitale: che cosa sia narrativa e che cosa no. Qui Barilli non teme di rifarsi alla Poetica di Aristotele, molto citata anche nelle ultime raccolte di Genette, da cui riprende "il precetto liberatorio di disprezzare il discrimine prosa-verso: del tutto inefficace a condurre una 'vera' storia della narrazione nelle sue ragioni più intime e consistenti".

Per quanto concerne la modernità, Barilli risolve la questione in modo convincente: è moderno quello che nasce dopo Gutenberg, con antecedenti nell'umanesimo boccacciano e fino a tutto l'Ottocento (resta fuori la stagione postmoderna, molto amata e studiata da Barilli: sarà per il prossimo libro). Questo permette all'autore di dedicare un raffinato capitolo al Boccaccio, che non è soltanto quello del Decamerone, ma anche quello inevitabilmente meno frequentato della Caccia a Diana, il Filocolo e il Filostrato.

L'attenzione riservata a opere e autore cosiddette minori è d'altronde un altro elemento essenziale di quest'opera di Barilli. È lui stesso ad avvertire che non c'è nessuna intenzione di sovvertimento di canoni più o meno prestabiliti, e non di meno, recita l'introduzione, "ci sarà anche un affacciarsi, pur in misure più contenute, di aspetti meno evidenti e ugualmente incisivi ed essenziali per una ricostruzione dinamica di quella personalità e quell'epoca". Ecco allora sorprese come il capitolo su Gian Giorgio Trissino, "il primo dei moderni", per il quale Barilli spende pagine di ammirazione analitica forse inattesa; le belle pagine riservate a Emilio De Marchi; quelle, acutissime, su Giovanni Faldella, in cui Barilli riesce, salvo errori, nell'impresa di non nominare mai Gianfranco Contini, promotore di Faldella nella sua Letteratura dell'Italia unita.

La vera marca, o almeno quella più evidente, di questo libro risiede proprio in questo tono privo di paludamenti. Un critico per solito feroce nella sua produzione militante (e bisognerebbe raccoglierla: sarebbe un ritratto della letteratura contemporanea senza uguali in Italia), quando parla di classici della letteratura italiana e dei cosiddetti minori si diverte. C'è in ogni pagina la sensazione di un racconto felice, fatto da un appassionato per appassionati. La dimensione in qualche modo narrativa del testo è confermata dalla mancanza totale di note al testo e persino di una bibliografia di riferimento. Questa Narrativa, pur scritta da un accademico di fama, non è un testo per l'sccademia, ma per tutti. Lo spiega lo stesso Barilli nell'introduzione, ponendo una questione che non molti suoi colleghi prenderebbero in considerazione: a chi è destinata l'opera. La risposta dell'autore è articolata. Prima di tutto, spiega Barilli, si cerca "di riportare dentro a una fruizione viva, palpitante, attuale, anche quei 'classici' di cui si è sentito parlare in età scolare" (una lieve malignità è forse contenuta in quel "si è sentito parlare". In età scolare, di fatto, i classici non si leggono se non a brani non sempre ben scelti).

E i destinatari di questa che lo stesso Barilli definisce una scommessa? Ma sono, naturalmente, le "persone colte che, pur fuori dagli anni dello studio scolastico, restano a vita consumatori di romanzi e racconti, considerandoli un nutrimento inevitabile, anche per il diletto che ne consegue". È, pari pari, la descrizione di un potenziale lettore implicito, ma racchiude in sé il senso di questo libro colmo di dottrina, ma soprattutto sommamente dilettevole: il libro di un maestro, e sa il cielo se le giovani generazioni di critici e narratori italiani ne hanno bisogno.

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Conosci l'autore

Renato Barilli

(Bologna 1935) critico italiano. Insegna fenomenologia degli stili all’università di Bologna. I suoi interessi spaziano dall’estetica alla critica d’arte, alla critica letteraria. Fra i suoi studi: Per un’estetica mondana (1964), Poetica e retorica (1969), Informale Oggetto Comportamento (1979), L’arte contemporanea (1984) e, in ambito letterario, La barriera del naturalismo (1964), L’azione e l’estasi (1967), La linea Svevo-Pirandello (1972), Parlare e scrivere (1977), Viaggio al termine della parola (1981), Pascoli (1985), D’Annunzio in prosa (1992), La neoavanguardia italiana (1995), Pascoli simbolista. Il poeta dell’avanguardia «debole» (2000), Maniera moderna e manierismo (2004), Bergson. Il filosofo del software, 2005.

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