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Ottima analisi, utile a tentare di comprendere l'inarrivabile arte di Bach
Ottimo studio sul grande Bach. Buona la traduzione. Peccato per la realizzazione grafica: immagini illeggibili, grammatura della carta esagerata. Un'occasione mancata per confezionare un libro che meritava la massima cura, anche tipografica.
Bel volume che sintetizza (finalmente) i più recenti orientamenti della ricerca sulla biografia e l'opera bachiana; indispensabile per ogni appassionato del Cantor, lascia solo in sospeso gli ultimi aggiornamenti inerenti la fine di Bach in quanto rintracciati dopo la stampa del libro. Speriamo in una riedizione ampliata, visto anche il vespaio suscitato dalla recentissima scoperta (?) circa il temperamento preferito da JSB, cripticamente tracciato sull'intestazione autografa del "Clavicembalo ben temperato". Acquisto consigliabilissimo a tutti.
Recensioni
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Laterza e Bompiani propongono finalmente un titolo d'argomento musicale. Mozart e Bach sono le figure prescelte, e il saggio biografico il genere comune. Digiuno di strategie di marketing, vedo nelle due epocali aperture una differenza culturale di fondo: Laterza investe sull'"altro mestiere" - come lo chiamava Montale - di Piero Melograni, storico dell'età moderna e autore storico della sua scuderia (wam. La vita e il tempo di Wolfgang Amadeus Mozart, pp. 398, Ç 20, 2003); Bompiani punta invece risoluto a Harvard, e traduce il denso compendio approntato con antico mestiere da Christoph Wolff, direttore del Bach-Archiv di Lipsia e, manco a farlo apposta, del Zentralinstitut für Mozart-Forschung di Salisburgo.
Fino alla comparsa del saggio di Wolff, su Bach il lettore italiano aveva a disposizione: 1) la traduzione della voce "Bach Family" approntata dallo stesso Wolff insieme a un manipolo di collaboratori per l'edizione 1980 del Grove's Dictionary (Bach, Giunti-Ricordi, 1990); 2) una trattazione sistematica di vita e opere che Alberto Basso non è riuscito a contenere entro le 1700 pagine (Frau Musika. La vita e le opere di J.S. Bach, 2 voll., Edt, 1979-83), strumento utile per la consultazione ma non candidabile per ragioni di peso - non solo specifico - al ruolo di manuale; 3) una traduzione del primo studio biografico, datato 1802 e basato sulle testimonianze di figli, allievi e conoscenti (Johann Nikolaus Forkel, Vita, arte e opere di Johann Sebastian Bach, Curci, 1982, 1998); 4) quella di un volume dedicato da Karl Geiringer ai maggiori esponenti del fronzuto albero genealogico, e quindi solo in parte a Johann Sebastian (I Bach. Storia di una dinastia musicale, Rusconi, 1985); 5) le pagine di un numinoso nazifascista dei giorni nostri, purtroppo non scevro d'intelligenza, che per la somma di questi motivi mi astengo dal nominare.
Riferito a un uomo la cui fisionomia è nota solo attraverso un dipinto che lo ritrae serio, imparruccato e nell'atto di mostrare l'autografo di un canon triplex a sei voci, il sottotitolo La scienza della musica spaventa un poco chi voglia avvicinare l'autore di opere anche godibili in modo ingenuo come il Concerto Italiano, la Badinerie o lÆAria sulla quarta corda. A guardar bene, Wolff aveva scritto The Learned Musician, che solo con sforzo si può intendere "musicista scienziato": il problema è la connotazione negativa acquisita col tempo dall'aggettivo "erudito", che di learned è traduzione corrente. Sta di fatto che la scienza musicale è solo un aspetto, generale al punto da non risultare fondante, del lavoro di Wolff.
L'obiettivo del libro è la messa a fuoco di una biografia povera di elementi notevoli ma ricchissima di intricate situazioni ordinarie. Ai graduate students di Harvard oppressi da corsi intensivi, papers a raffica ed esami strizzacervello, Wolff consegna il racconto di una vita spesa a servire attraverso la (scienza della) musica non tanto l'Arte, né tutto sommato le istituzioni che lo pagavano, ma un ideale di bellezza coincidente con un'idea molto umana di Dio. Sì, perché a Lipsia, dove operò per un numero di anni superiore a quello trascorso in tutte le sue sedi lavorative precedenti messe assieme (Arnstadt, Mühlhausen, Weimar, Cöthen), Bach scrisse musica ben al di là dei suoi obblighi professionali, soprattutto dal punto di vista qualitativo. Come alcuni romanzieri dell'Ottocento, Wolff pecca di amore eccessivo per il suo eroe quando, per motivare i tentativi di Bach di spostarsi a Dresda, fa leva sul decrepito luogo storiografico del genio incompreso: sta però di fatto che le pagine in cui il Cantor vien ritratto nell'atto di esortare la municipalità di Lipsia ad aumentare gli investimenti nelle istituzioni musicali promanano un fascino raro.
La giovinezza è ripercorsa con attenzione precipua al desiderio di Bach di darsi un'istruzione superiore: unico iscritto in famiglia alla scuola latina, quando i tempi si fecero difficili l'orfano adolescente non esitò a spostarsi di quattrocento chilometri pur di continuarla, mantenendosi agli studi con una borsa ottenuta in qualità di corista. A quindici anni Bach possedeva un mestiere tale da garantirgli un impiego musicale in qualunque centro della Turingia; la sua scelta di Saltare l'apprendistato musicale (questo il titolo del capitolo) non fu dettata da supponenza ma dal desiderio di impossessarsi di una cultura umanistica da trasfondere poi nella creazione musicale. Una delle tesi di fondo del libro è difatti la propensione essenzialmente vocale di un uomo le cui mani sfarfallarono per sessant'anni sulle tastiere di mezza Germania; anche il famoso viaggio compiuto a piedi da Arnstadt a Lubecca per andare a sentire Buxtehude è letto in questa luce: secondo Wolff l'esperienza più duratura che il ventenne Johann Sebastian si portò a casa non fu il magistero improvvisativo del vecchio organista, il cui modo di preludiare gli apparve anzi macchinoso, ma il confronto con la felicità inventiva da questi mostrata nel genere dell'oratorio. Le cantate di Bach, sia quelle giovanili sia quelle prodotte a gran ritmo nei primi anni di Lipsia, e soprattutto le Passioni scaturite rigogliose in mezzo a queste non sarebbero mai sbocciate senza il giovanile assorbimento delle sontuose costruzioni vocali del grande danese.
L'appunto che qualche collega americano ha mosso a Wolff è stata la scarsa attenzione per i testi verbali delle opere vocali, oggetto privilegiato di tanta ricerca odierna. Volendo prendere le difese dell'autore, si può obiettare che in un volume dalle dimensioni di un manuale la sola riproduzione di quei testi occuperebbe due terzi dello spazio. Piuttosto, occorre sottolineare la scelta di Wolff di concentrare le riflessioni di natura strettamente musicale su pochissime opere, talvolta con qualche eccesso analitico rivolto a lavori secondari come un concerto trascritto da Vivaldi ( bwv 978/1) o il Canone trias harmonica ( bwv 1072). Concludendo, la soddisfazione per la comparsa nel nostro paese di un manuale bachiano finalmente adottabile negli studi universitari dev'essere temperata dalla raccomandazione di integrarne la lettura mediante l'indagine critica di tanti capolavori malnoti o ignoti al pubblico della musica.
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