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Vicino al cuore selvaggio
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Vicino al cuore selvaggio - Clarice Lispector - copertina
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Vicino al cuore selvaggio

Descrizione


Clarice Lispector aveva diciannove anni quando fu pubblicato questo suo libro in Brasile. Era una giovane ebrea ucraina, trasferita con i genitori, piccolissima, in America del Sud. La critica brasiliana accolse subito la Lispector con meraviglia, definendo questo libro «il nostro primo romanzo nello spirito di Joyce e Virginia Woolf» (Alvaro Lins). Ma la Lispector non conosceva bene né l’uno né l’altra: era invece una scrittrice fortemente istintiva, che già nelle sue prime pagine tracciava definitivamente i lineamenti del suo mondo: un mondo frantumato, traboccante di immagini, dove si è continuamente sbalzati fra una realtà che viene a mancare e una realtà che sopraffà.
«Perché era così ardente e leggera, come l’aria che viene dal fornello quando lo si scoperchia?». Joana, la protagonista di questo romanzo, è una bambina, poi una ragazza, poi una donna, dai sentimenti naturalmente presocratici. Tutto in lei affiora da «percezioni troppo organiche per essere formulate in pensieri», come in una Virginia Woolf amazzonica, arruffata e vagamente stregonesca. Joana ha il tratto della visionaria ironica, che non riesce a liberarsi mai dal «desiderio-potere-miracolo di quand’era piccola», e neppure lo vuole. Qui la letteratura e il sogno crescono insieme, come nello stesso giardino d’infanzia. «All’inizio sognava montoni, andare a scuola, gatti che leccavano il loro latte. A poco a poco aveva cominciato a sognare montoni azzurri, andare a una scuola in mezzo alla foresta, gatti che bevevano latte in piattini d’oro. E i sogni si addensavano sempre più e acquistavano colori difficili da diluire in parole». Che cosa accade, a Joana? Si trasforma, passa il tempo, perfino si sposa. La sua storia è il silenzioso ruotare di un prisma che guida la luce «vicino al cuore selvaggio della vita».
Vicino al cuore selvaggio è apparso per la prima volta nel 1944.

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Dettagli

3
1987
1 giugno 1987
194 p.
9788845902512

Voce della critica


recensione di Melon, E., L'Indice 1988, n. 5

Nota, notissima in Brasile, da tempo tradotta in varie lingue, negli ultimi anni Clarice Lispector ci viene incontro anche nella nostra, allargando lentamente il numero dei suoi lettori. Così, quelli che già lo sono, condividono soprattutto la sensazione di un privilegio, di un apprendistato che si sta compiendo, sia di Clarice, sia, con Clarice, di se stessi.
Aprendo "La passione secondo G. H.", senza alcun dubbio il suo libro fondamentale, troviamo all'inizio una raccomandazione dell'autrice che suona così: "Agli eventuali lettori. Questo libro è un libro come un altro, ma avrei piacere che fosse letto solo da persone dall'anima già formata. Quelle persone sanno come l'avvicinamento a ogni cosa avvenga per gradi e con sofferenza - e passando attraverso l'opposto di ciò che è la meta...". Così Clarice istituisce la figura del suo lettore ideale. Così, accettando di entrare in quel libro e in quel sistema di pensiero, io lettrice divento impercettibilmente, ma inesorabilmente, parte di un mondo, un mondo leggermente altro, che io abito, quando leggo Clarice, e condivido, ne sono sicura, con altri. Dico "ne sono sicura" perché ogni qualvolta fra due persone si tenta di parlare di Clarice, di spiegarla, scatta una strana impossibilità di interpretarla, quasi un'impossibilità di dirne; in definitiva, una complicità particolare. Non si legge Clarice, con Clarice ci si scrive. Non perché la parola aderisca così totalmente alla cosa da non poterle separare, e non poter quindi dire la stessa cosa con altre parole. All'opposto: perché la parola non aderisce mai alla cosa, ma vi si muove sempre in una singolare vicinanza/lontananza che chiede di non essere tradita. "Se io dovessi dare un titolo alla mia vita sarebbe: alla ricerca della cosa stessa", diceva Clarice in un'intervista del '75. E ancora: "Sono misteriosa al punto che non mi capisco... Ma è che, pur non capendomi, mi sto lentamente incamminando e, anche, verso che cosa, non so".
Non vi sono particolari misteri nella biografia di Clarice Lispector, tranne qualche confusione intorno alle date. E per capire i nodi centrali della sua opera già disponiamo degli scritti che hanno accompagnato le prime traduzioni italiane che citerò in seguito: quello di Rita Desti come introduzione generale, quello di Luciana Stegagno Picchio sul termine-concetto di epifania, quello di Angelo Morino sul misticismo e sulla religiosità di Clarice in rapporto alla tradizione ebraica.
Clarice è un'ebrea russa, nata nel dicembre 1924 a Tchetchelnik, in Ucraina, durante il viaggio di emigrazione dei genitori. Giunta in Brasile a soli due mesi (come lei stessa terrà più volte a precisare), vive dapprima nel nord, a Recife, poi a Rio de Janeiro. In portoghese, la sua prima lingua, inizia a scrivere all'età di sette anni; a nove perde la madre. Pubblica i primi racconti a quattordici anni, e a diciannove un romanzo, "Vicino al cuore selvaggio". Poi il matrimonio, i lunghi soggiorni all'estero accanto al marito diplomatico (Svizzera, Italia, Inghilterra, Stati Uniti), la nascita di due figli maschi molto amati, la fama della sua bellezza e della sua intensità. Pubblica "Il lampadario" (1946) e "La città assediata" (1949). Nel 1958 rientra in Brasile, divorzia, produce, oltre a numerosissimi racconti, le opere mature: "La mela nel buio" (1961), "La passione secondo G. H. " (1965, trad. it. di Adelina Aletti, La Rosa, Torino 1982), "Un apprendistato o il libro dei piaceri" (1969, trad. it. di Rita Desti, ivi, 1981), "Agua viva" (1973). È letta e amata da un pubblico vastissimo, anche se ritenuta talvolta "difficile". Dopo anni di progresso nella solitudine, muore di cancro nel '77. Escono postumi "L'ora della stella" (1977), "Un soffio di vita" (1978), e numerosi altri libri tra cui una vasta raccolta di articoli, interviste e scritti vari dal titolo "La scoperta del mondo" (1984).
"Vicino al cuore selvaggio", l'opera più recentemente tradotta in italiano, è quindi la sua prima. Quando uscì, nel 1944, l'orizzonte letterario, in Brasile, prevedeva o il romanzo regionalista o il romanzo intimista. Clarice meno che ventenne, nutrita di letture disordinate, lavora e sente in tutt'altro modo, e attraverso la scrittura va alla scoperta del mondo. Il risultato è qui un testo polifonico: su una medesima tonalità - l'unità narrativa - si dispiega una simultaneità di melodie. Il passato e il presente avanzano in onde concentriche, e il tempo già trascorso diventa sempre più prossimo. La critica l'accosta alla Wolf, a Joyce (dal quale deriva la citazione in epigrafe: "Era solo. Era abbandonato, felice, vicino al cuore selvaggio della vita"), se non altro perché la storia, i personaggi, sono pallidi nuclei intorno a cui lampeggiano momenti di essere, visioni, epifanie, rivelazioni attraverso una scrittura che si fa bordo del reale. Il corpo a corpo stringente e a volte faticoso con il linguaggio non deve trarre in inganno: non di un semplice lavoro stilistico si tratta e neppure di uno scavo psicologico. La ricerca di Clarice è anzitutto esperienza, allargamento della coscienza, viaggio, apprendistato. "Creare non è immaginazione, è correre il rischio grande di accedere alla realtà". A questo rischio Clarice spinge le sue creature - e i suoi lettori. Questo spalancamento lavora, si effettua, per i suoi personaggi - per lo più femminili - di colpo e in mezzo alla quotidianità più banale.
È quanto accadrà anche a G. H., una donna elegante, forte della sua identità e delle sue realizzazioni, che nel bel mezzo di un pomeriggio normale, nella quiete rassicurante delle mura domestiche, si trova davanti uno scarafaggio, una grossa blatta millenaria. Qui comincia la "passione" di G. H., dapprima con il tentativo di uccidere la bestia immonda, poi con la tentazione di assaggiarne la materia, di incorporarsela e di toccare così il mistero dell'origine della vita. La blatta è la metafora viva che sta a rappresentare l'impuro, o il reale, o il sacro, o l'Altro, o il materno, tutto quel che l'ordine del discorso istituisce come separato e che proprio per questo esercita la sua attrazione.
Colpisce soprattutto in Clarice l'originalità della scrittura, in due sensi almeno. La grandezza, l'unicità di un'artista, quella che banalmente chiamiamo la sua originalità, risiede sempre, a mio parere, nella sua possibilità di entrare in contatto, letteralmente, con l'origine. Origine storica, geografica, familiare talvolta. Ma più profondamente - ed è il caso di Clarice Lispector - origine della sostanza vivente, del mistero e dell'energia della materia umana. "Io a cui solo la cosa originale, fonte di ogni generazione, interessa, io la cui ambizione è di bere alla fonte viva di quella fonte".
Clarice, come Eva, osa portare alla bocca il frutto proibito della conoscenza per riuscire ad entrare nell'unico paradiso in cui crede, la nostra stessa vita umana, da vivere però, nel piacere e nella sofferenza, con una pienezza, un sapere e un'allegria che si possono attingere attraverso un lungo, faticoso e paradossale apprendistato.
"Un apprendistato" o "Il libro dei piaceri" è un libro diverso dagli altri di Clarice e che in un certo senso tutti li riassume. Parla d'amore, delle molte specie d'amore di cui è dato fare esperienza, e che qui appaiono strettamente connesse fra loro. Forse è una scoperta anche per lei, che in apertura dice: "Questo libro si è voluto una libertà più grande di quella che ebbe paura di dare. È molto al di sopra di me. Umilmente ho tentato di scriverlo. Io sono più forte di me". Amore è ogni raro momento di grazia (fossero più frequenti non li sopporteremmo) in cui la protagonista, la lunare Lori, "una donna non integrata nella società brasiliana d'oggi, nella borghesia della classe media", sente di entrare in contatto, col corpo e con l'anima terribilmente svegli, con la vita e la materia del cosmo. Lori si immerge nel mare, Lori avverte che il cuore le si spezza perché sta arrivando la primavera, Lori al mercato vede in tutta la sua meravigliosa bellezza la patata che "nasce dentro la terra", Lori mangia, Lori "si mangia internamente, piena del succo vivo che è". Lori finalmente fa l'amore con Ulisse, "un uomo libero, esente dal peccato di romanticismo". Ma perché tutto questo accada bisogna imparare a non aver paura della vita e dell'amore, rendersi aperti ad accogliere il dolore e anche la gioia, apprendere a decifrare i segni, a non avere fretta, a saper aspettare il momento in cui si è pronti. Solo così l'amore per un altro essere umano che lo ricambi può diventare il momento culminante dell'apprendistato.

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Conosci l'autore

Clarice Lispector

1925, Cecel'ny (Ucraina)

Scrittrice ucraina naturalizzata brasiliana.Nata in Ucraina da una coppia di emigranti russi in viaggio verso Odessa, è stata definita la maggiore scrittrice brasiliana del secolo scorso. Dopo l’infanzia a Recife, si laurea in legge a Rio de Janeiro. Sposa un diplomatico con il quale vive prima in Italia e poi in Svizzera e negli Stati Uniti. Madre di due figli, nel 1958 torna definitivamente a Rio dove, nell’autunno del 1977, muore. Ottiene una enorme fama, postuma. Tra i suoi titoli, possiamo citare la raccolta di racconti Le passioni e i legami, il romanzo d'esordio Vicino al cuore selvaggio, L'ora della stella, La passione secondo G.H. e ancora Il segreto, Un apprendistato o il libro dei piaceri, il libro per bambini Il mistero del coniglio che sapeva pensare.

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