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Anno edizione: 1988
Anno edizione: 2014
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La sorte ha voluto che Iosif Brodskij si sia trovato, a distanza di pochi giorni, nell’autunno del 1987, a scrivere i due discorsi qui raccolti, che vengono ad assumere nella sua opera un significato simbolico: il discorso su La condizione che chiamiamo esilio e quello per il Premio Nobel di letteratura. Entrambi discorsi dall’esilio, un odierno Ex Ponto. E qui l’esilio è una categoria metafisica, prima che politica. Ciò permette a Brodskij di schivare, sin dal primo passo, il più allettante rischio dell’esiliato, quello di porsi «sul lato banale della virtù». E al tempo stesso dona un’autorità ulteriore alla sua parola. Quando, dal podio di Stoccolma, si è udito che «l’estetica è la madre dell’etica» – e proprio da uno scrittore di impavida fermezza etica –, tutti hanno avvertito una scossa salutare. La letteratura non serve a salvare il mondo. Ma è il più formidabile «acceleratore della coscienza, del pensiero, della comprensione dell’universo». Da qui la sua capacità di guidarci, con mano invisibile, fra tutti i dilemmi più subdoli. «Il punto non è tanto che la virtù non costituisce una garanzia per la creazione di un capolavoro: è che il male, e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista».
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Un libro piccolo da leggere e rileggere perché ad ogni nuova lettura si aggiunge di significati. La poesia presentata al suo meglio.
Bellezza russa! Solo un russo, infatti, poteva scrivere un libro così. "Giacchè è meglio essere l'ultimo dei falliti in una democrazia che un martire o la créme de la créme in una tirannia". Il poeta è il mezzo di cui la lingua si serve per esistere... Chi vuole capire perché la letteratura trascende la dimensione semplice delle cose non ha che da leggere questo libriccino. "Se ciò che ci distingue dagli altri rappresentanti del mondo animale è la parola, allora la letteratura - e in particolare la poesia, essendo la forma più alta dell'espressione letteraria - è, per dire le cose fino in fondo, la meta della nostra specie." Chiediamo, chiediamo ai nostri governanti, previa elezione, quali autori hanno letto, quali romanzi li hanno affascinati. Non chiediamogli di sciorinare algidi protocolli o roboanti statistiche, no: chiediamogli chi preferiscono tra Dickens e Dostoevskij. "Io non chiedo che si sostituisca lo Stato con una biblioteca - benché quest'idea abbia visitato più volte la mia mente -; ma per me non c'è dubbio che, se scegliessimo i nostri governanti sulla base della loro esperienza di lettori, e non sulla base dei loro programmi politici, ci sarebbe assai meno sofferenza sulla terra. Credo che a un potenziale padrone dei nostri destini si dovrebbe domandare, prima di ogni altra cosa, non già quali siano le sue idee in fatto di di politica estera, bensì che cosa pensi di Stendhal, Dickens, Dostoevskij."
The condition we call exile, il titolo in originale considerato che Brodskij era un'amante della letteratura inglese, è un'affermazione che si potrebbe dire 'ideologica' nel senso che all'esilio, volontario o forzato, viene data una valenza, un senso esistenziale concreto che non si riduce alla disperazione di chi è portato a stare fuori dalla propria terra, anzi l'esilio è una perenne condizione di vita, anche dei non esiliati. Condizione dell'assenza e della mancanza per capire e vivere. Per lui che ha vissuto in fondo l'esilio ne ha colto tutte le sfumature possibili. Un piccolo saggio esistenziale. Da leggere per capire non solo Brodskij stesso, ma anche Dante, Joyce e gli altri.
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