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La vita di Immanuel Kant, scrive De Quincey, «fu notevole non tanto per i suoi avvenimenti quanto per la purezza e la dignità filosofica del suo tenore quotidiano». Era un ordine perfetto e infantile, dove ogni minuzia della giornata veniva osservata con lo stesso rigore, con lo stesso scrupolo di trasparenza che il grande filosofo dedicò ai problemi epistemologici. Nel corpo minuto di Kant, nelle sue maniere austere e amabili vivevano i Lumi, giunti al grado più nobile e penetrante del loro fulgore, come in un delicato involucro. E un giorno quel perfetto ordine avvertì i primi segni del declino. Da allora, ingaggiò una lunga, testarda lotta contro le forze della disgregazione. Thomas de Quincey, collazionando le varie testimonianze di amici sull’ultimo periodo della vita di Kant, e utilizzando soprattutto quella, insieme modesta e rapace, di Wasianski, ne ha tratto una narrazione che corrisponde agli antichi tratti del «sublime». Dinanzi al progressivo decadere di quella vita mirabilmente costruita, dinanzi alla raccapricciante comicità di certe scene e allo strazio immedicabile di altre, viene naturale dire di questo testo, in cui convivono, come rare volte accade, la più acuminata modernità e un purissimo pathos: chi ha lagrime per piangere pianga.
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Un filo rosso corre attraversando l’opera quasi diaristica di E. A. CH. Wasianski (“Kant in seinen letzten Lebensjahren”, del 1804), e la più nota del D.Q.; fino poi al suo postremo riflesso nel Professor Kien di Canetti. Riferimenti e testimonianza diretta della personalità del filosofo che lo stesso Ernst Cassirer cita nella sua Vita (e pensiero) di Kant. Anch’egli come D.Q., dunque, non si esime dal riferirsi al Wasianski, l’amanuense di Immanuel, come fonte, per es. quando quest’ultimo racconta delle sue visite in casa Kant mentre l’anziano pensatore attendeva il medico. Ma se il Wasianski sottolinea il mai perduto senso di umanità del genio di Königsberg, anche negli ultimi difficili anni, D.Q. insiste sulla strenua battaglia contro la malattia, i dolori allo stomaco, gli incubi, le difficoltà a dormire e la progressiva dolorosa perdita delle facoltà cognitive. In maniera ad un tempo grottesca e drammatica, e sempre luminosa. D.Q., affascinato dal libro del Kantschüler Wasianski, utilizza queste informazioni e confidenze di prima mano (e quelle di altre biografie kantiane, di Rink o Borowski, o ancora Jachmann – si veda: “La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei”, 1969) per fondare la sua narrazione, che è comunque un’opera a sé stante. Non si tratta perciò di una traduzione, ma di una rielaborazione di quelle notizie che solo uno stretto collaboratore del filosofo poteva avere; dando poi a queste un particolare taglio: ironico, drammatico e come scrisse Bernd Roling quasi da “voyeuristisches Schattentheater”. Insomma D.Q. scrive un libro “stark an Wasianski orientiert”, fortemente orientato allo scritto di Wasianski, usandolo tuttavia come un ‘pretesto’ per la sua sceneggiatura, che è certamente molto più brillante e acuta della modesta – seppur preziosa – testimonianza del Wasianski. In altre parole, e grosso modo, si può dire che Wasianski diventa l’«Io» narrante di D.Q.Dal libro è stato tratto anche un film “Les derniers jours d’Immanuel Kant”.
Consiglio questo piccolo libro di De Quincey a tutti coloro che vogliono conoscere meglio la figura dell'uomo Kant. Un grande sempre, anche nei suoi ultimi giorni, quando la malattia sembra prevalere sul filosofo e sembra ridurlo ad una pallida sembianza del grande pensatore, ecco che appare il lampo di genialità che stupisce tutti i presenti che gli fanno compagnia. Davvero è una bella lettura che De Quincey ci offre; da non perdere.
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