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La sconfitta di Dio - Sergio Quinzio - copertina
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sconfitta di Dio

Descrizione


Questo libro pone, con una durezza che la brevità rende flagrante, la domanda essenziale, quella che non può essere evitata da chiunque affronti la Scrittura con l’intenzione di prendere sul serio, di accettarla nella sua interezza e nella sua letteralità. La domanda riguarda le promesse chiare di Dio, di cui il testo biblico gronda. Sono promesse di felicità, di ricchezza, di pienezza di vita, di pronta giustizia. Che ne è stato di quelle promesse? Sulla risposta non ci possono essere dubbi: non sono state mantenute. La Bibbia – questo «testo poco comprensibile, che suscita orrore in chi tenta di leggerlo» – racconta una sequela di «vicende fallimentari» non solo «per gli uomini», ma «anzitutto per Dio». Un Dio sconfitto, un Dio senza onnipotenza, ma di cui siamo condannati a parlare, se non altro «perché non è facile nemmeno non parlarne più»; e in questo parlare della sconfitta di Dio, in questo farla entrare «nelle nostre equazioni», chi crede e chi non crede possono incontrarsi. Questo piccolo libro violento è destinato a turbare la tranquillità di coloro per cui fede e non fede sono modi diversi di archiviare il problema.

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Dettagli

6
1992
24 febbraio 1992
104 p., Brossura
9788845908880

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 3/5
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ND
Recensioni: 2/5
Un dio impotente che ci ama e, forse, se ci riesce, ce lo dimostrerà

Come si evince chiaramente anche da altri scritti, Quinzio, volendosi giustamente allontanare da posizioni eccessivamente spiritualistiche, muove però da un sincretismo tra Cabala & Talmud con un Cattolicesimo decisamente modernista (che personalmente non reputo essere affatto cattolico). Tutti i ragionamenti del Nostro sono implicati dalla Tzim-Tzum cui aderisce, col suo dio (con la minuscola) assolutamente incompatibile col Dio-Essere e la sua Creatio ex nihilo della classica tradizione giudeo-cristiana; non il Dio dell'Ego sum, ma il: "dio che sarà" (cit.). Il problema è che la visione di Quinzio conserva degli incompatibili elementi giudeo-cristiani classici; ne risulta pertanto la figura di una divinità che crea un mondo che non è efficacemente capace di governare, ma che pur sempre ama tanto da farsi uomo e di morire per una parte di tal creazione: l'umanità. Per quanto teatrale e tragico il quadro, non capisco come una persona sensata dovrebbe provare verso questo dio ingenuamente saidico sentimenti positivi, tanto più visto che dei Novissimi non si parla, e con essi punizione e retribuzione nell'aldilà sono un punto di domanda. Dalla grande confusione creatasi, infatti, pare che il Regno escatologico che verrà con l'apocalisse divenga conditio sine qua non del Giudizio che ogni uomo subirà dopo la morte, Per quanto apprezzabile, l'originalità non è un bene in sé.

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GD
Recensioni: 5/5
Aspettative deluse

La visione di Quinzio è lucidamente apocalittica e lui non poteva essere che in solitudine a divulgarla, anche se altri con modi ed intenti diversi hanno affrontato la stessa temperie (penso a Bonhoeffer, Nietsche, Buber, Benjamin..). I cardini del pensiero di Quinzio sono, credo, noti: il fallimento di Dio non solo nella storia; la storia che, lungi dall' evolvere, precipita; l'uomo oramai certo di poter accantonare Dio; la fede tradita da un'attesa che non finisce più; l'incombere serio dell' apocalisse che, in quanto giudizio, resto comunque l' emblema del fallimento.. L'esplorazione continua della Bibbia non ha portato Quinzio se non alla consapevolezza che: "Noi sappiamo bene, per la lunga esperienza fatta, di non valere nulla, e tuttavia ci sono in noi le primizie dello Spirito, che in noi provano la nostalgia del mancato raccolto di cui sono primizie". Ecco: questa tenuissima traccia resta la fede, nella stanchezza, infelicità, o inutile protervia delle nostre vite. Tutti gli scritti di Quinzio, dal primo all' ultimo, trattano di questo e sono tutti importanti ed ugualmente essenziali.

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Domenico
Recensioni: 4/5

Quinzio è un cattolico scomodo, ma la sua fede è autentica, la senti vibrare nelle sue parole con una inquietudine coinvolgente, la sua disperazione rischia di contagiare più di tanti discorsi edificanti e, forse, se nelle chiese si sentissero voci come la sua, la crisi di fedeli sarebbe meno acuta. Quinzio ha il coraggio di confrontarsi a viso aperto con il nichilismo, con la crisi dei valori dell'uomo contemporaneo, assumendola integralmente in una visione tragica del cristianesimo lontana dai toni trionfali delle gerarchie ecclesiastiche. Può essere fatta anche una lettura positiva, come un'occasione che è data all'uomo contemporaneo di liberarsi dalla gabbia di un'unica verità, di un'unica fede e di un unico sistema di valori. Non è un libro profetico sul tramonto del cristianesimo, ma una lucida analisi sulle ragioni della sua lenta e agonizzante caduta avviata, seppur in forma embrionale, molto prima di quanto si possa immaginare. Ne consiglio la lettura solo a chi vivamente interessato alla religione o a chi non sa ancora in cosa consiste essere spiritualmente impegnati.

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Conosci l'autore

Sergio Quinzio

1927, Alassio

Sergio Quinzio è stato un teologo ed esegeta biblico italiano. Studiò ingegneria a Roma, dove si era trasferito a causa della guerra, passando poi a filosofia. A causa delle difficoltà economiche della famiglia, lavorò come finanziere per 17 anni.Dopo la morte della giovane moglie, dalla quale aveva avuto una figlia, nel 1973 si ritirò in isolamento per quattordici anni in un piccolo paese delle Marche, dove continuò i suoi studi sulla Bibbia. Tra le sue opere ricordiamo il monumentale Un Commento alla Bibbia. Collaborò con diversi quotidiani nazionali come «La Stampa», «Il Corriere della Sera», «l'Espresso», «Il Giornale». 

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