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Esperimento con l'India - Giorgio Manganelli - copertina
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Esperimento con l'India

Descrizione


Manganelli è inquieto, sull’aereo che lo porta per la prima volta verso l’India, questa «casa madre dell’Assoluto» – inquieto come tutti noi, perché l’India è stata e continua a essere lo shock per eccellenza, fisico e metafisico. Perciò chiamerà queste pagine «esperimento con l’India»: perché l’India toglie al viaggiatore la sua naturale sovranità e distanza. Così ogni «esperimento con l’India» è innanzitutto un esperimento con se stessi, un consegnarsi al «deposito dei sogni, l’unico luogo dove esistono ancora gli dèi, ma come delegati di un Dio sprofondato in sé medesimo, e contemporaneamente incarnato dovunque, un luogo di templi e di lebbrosi, dal quale il sorriso di Buddha o di Śiva non sono mai stati cancellati, morbidi e incomprensibili, estatici e mortali».
Viaggiatore tardivo e magistrale, Manganelli seppe mettere la sua prosa, cresciuta nello spazio sigillato della mente, alla prova del mondo, illuminandolo con una naturalezza e una leggerezza sconcertanti. Questo viaggio in India avvenne nel 1975: l’autore ne scrisse subito il resoconto, che qui appare per la prima volta in forma di libro.

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Dettagli

7
1992
11 maggio 1992
112 p., Brossura
9788845909047

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Sandro G. '74
Recensioni: 5/5

Come sempre, anche in questi esotici resoconti di viaggio, Manganelli stupisce, spiazza, colpisce con forza, con obliquo pensiero ti stordisce, con superba eleganza narrativa ti conquista ancora una volta. L'india raccontata con estrema originalità, profondità di pensiero, leggerezza, sozzura di carne, metafisica, pietre antiche, polvere, templi e sepolcri della mente.

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ludwig95
Recensioni: 5/5

Manganelli è uno scrittore troppo alto, troppo altro e troppo altrove. Chi non riesce a capirlo o apprezzarlo, lasci perdere. Senza avventurarsi in giudizi stilistici o critiche che rasentano il ridicolo. Appunti sparsi e note variamente distribuite di una lunga di esperienza di viaggio in India centrale e meridionale. Qualche mirabile riflessione, qualche fotografia dai contorni sfocati, qualche pensiero senza pretese antropologiche nè politiche. Lo puoi interpretare come la segnalazione di un privilegio o, al contrario, di una condanna. E in tutti e due i casi la letteratura è vista come un modo per non lasciare solo nessuno e non sentirsi soli, per rompere il muro di solitudine che perimetra la nostra individualità. Meraviglioso anche questo libretto, che altro dire. L'unico dei tre che dell'India è riuscito a capire qualcosa, forse proprio perché dell'india non voleva capire niente. Ne consiglio la lettura.

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Voce della critica


recensione di Papetti, V., L'Indice 1992, n. 7

"Per molti anni, forse per molte incarnazioni, avevo sempre desiderato questi inverosimili viaggi intercontinentali, che possono arrivare esclusivamente come regali del destino, quali congiunzioni astrali abbiano messo in moto questa slavina di terrestri traslazioni, non so; ma spero che sia di genere che vuol anni a fabbricarsi, e non si scompone facilmente", scrisse Manganelli dopo il ritorno dalla Cina ("Cina e altri Orienti", Bompiani, 1974). Il primo di questi viaggi, "splendido e massacrante", fu in Africa nella primavera del 1970. Per conto d'una società multinazionale che progettava di costruire una strada panoramica lungo la costa orientale, visitò Egitto, Etiopia, una puntata su Aden, il Kenia e la Tanzania. Viaggiava con una dozzina di esperti, alcuni ingegneri e una fotografa, e avrebbe dovuto essere l'aedo di quel tour africano.
Diari, lettere e fotografie certamente sono rimaste in più mani, affidate alla discrezione degli amici. Ritorn• con uno splendido volume sulle chiese copte della città santa di Lalibelà, in Eritrea, e forse aveva già in mente l'oggetto dei viaggi che sarebbero seguiti: cercare enigmi, emblemi, enteroideogrammi del sacro. I due viaggi in Asia andrebbero letti di seguito, trattandosi di un pellegrinaggio in due tempi. Il primo fu lietamente mozartiano, rigenerante, un'apertura verso un altrove della sacertà che non comportò perdite, n‚ terremoti psichici, ma acquisizioni di imprevedibili forme è sentimenti. La Cina, le Filippine e la Malesia si erano docilmente dispiegati innanzi all'anima occhialuta di Manganelli, in diretta e sussultoria consultazione con le entragne sensibilissime È difficile contare quanti luoghi di culto di ogni religione abbia visitato, quanti cimiteri. Con quanto furore e furberia abbia dato la caccia agli dei, ne abbia spiato i rapporti con i fedeli, le cerimonie e i commerci, li abbia fiutati nella pioggia e pestati nella polvere. La commozione più forte "arcaica, violenta e tenerissima", la provò nella cappella degli Antenati, nel tempio dei Khoo Kongsi a Penang. "Vi fu un tempo in cui anche noi sapevamo che la morte è un momento supremamente cerimoniale; che solo come rito possiamo varcare quella soglia, da vivi e morti, senza cedere allo sgomento della nostra inanità affettiva". Finalmente sperimentò l'India, e scoprì l'angoscia peculiare dell'anima bianca quando si trova sfidata, e ferita, da una fisicità, un'estetica e una teologia completamente altre, saldamente compatte, e mostruosamente pervasive. Al ritorno scrisse gli undici articoli che apparvero su "Il Mondo" dal 27 novembre 1975 al 19 febbraio 1976. Raccontavano la scoperta che procedeva in parallelo con le tappe del viaggio. Anche questa volta era partito senza macchina fotografica poiché detestava le false associazioni che le immagini sollecitano. Preferiva aiutarsi con la memoria e la carta geografica. Si era preparato leggendo "il pulitino Siddartha" e il "Vedànta" spiegato da Huxley, "un fantasma igienico", e almeno tre guide delle più accreditate. Ma qualcosa andò male. Fece l'errore di salire in aereo stretto alla sua anima razionale, quella milanese, che si trascinava dietro quella irascibile, la romana, e dimenticò a casa quella concupiscibile, l'emiliana, sapendo di già che non avrebbe mai assaggiato un piatto indiano. Entrò in India dallo sfintere, Bombay, sbalordito e quasi felice del primo violento impatto "... so che non sono degno di questo mondo così superbamente invaso dalla propria terrestrità". Però Bombay l'aveva sfregiato, Ajanta ed Ellora lo avevano turbato per quella condizione onirica e sensuale della pietra. L'anima irascibile volle andare a Goa per una pausa di finta Europa. "Ho sentito il fascino e la lontananza di quel mirabile e non già impervio, ma infintamente (non "infinitamente"!) attraversabile mondo, quel luogo di teneri fantasmi, di clandestini giochi della mente e delle membra;... Ho voglia di provare il mio antico disagio di europeo, di italiano, di romano, vessato dalle acredini logiche delle affermazioni chiare e impossibili". A Goa indugiò, inseguendo fantasmi grandiosi di santi cattolici, san Francesco Saverio e san Tommaso, interrogandosi su quella osmosi del sacro tra Oriente e Occidente. Giunse a Trivandrum deciso ad andare per librerie di sinistra, saggiare la situazione politica. Si era creato una gentile difesa, un umorismo delicato e surreale con cui antropomorfizzava e europeizzava cose e animali: gli aerei, un ventilatore, le corriere, gli avvoltoi, i tassi, i cani in special modo, i bovi naturalmente. A Madurai, la città sacra, ficcò l'occhio mentale a fondo nel groviglio numinoso indiano. Forse sorretto segretamente da Hillman, lo aveva capito. Quindi domato. Ma a Madras ci fu una fatale, angosciosissima 'revanche'. Quel senso di morte che solo la 'samsara' può incidere impietosamente nella nostra anima, lo prese a tradimento. "Non conosco più la combinazione per uscire da me stesso. Qualcuno mi ha chiuso a chiave? Qualcuno ha chiuso a chiave il tempo? Qualcuno mi sta suggerendo che tutto ciò in cui dimoro, carne e aria e hotel, non è che un progetto di sarcofago?" Finalmente a Delhi, un antico amore degli anni cinquanta, ritrovò l'orgoglio, la solitudine e la disperazione delle religioni del Libro. Fu un minareto altissimo che gli restituì "la desolazione e la notturna felicità semita che è nel nostro nero e incattivito sangue". A Roma l'aspettava la notizia dell'improvvisa scomparsa del fratello Renzo.
Tempo dopo, Manganelli fece dattilografare e rilegare i manoscritti degli articoli e me ne diede una copia. In forma di libretto questo viaggio lo si legge d'un fiato per la veemenza stilistica e psicologica, per l"'infinita" passione del ricercatore di segni teologici. Ma un consiglio ai lettori: quando incontrate "ampio/a" sostituitelo con "empio/a", un aggettivo decisamente più manganelliano.

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Conosci l'autore

Giorgio Manganelli

1922, Milano

Giorgio Manganelli è stato uno scrittore e saggista italiano. Fece parte del Gruppo 63. La sua vita inizia il 15 novembre 1922, in via Ruggero Boscovich numero 4 a Milano che, se cercate su Google Maps, non c’è. Ed è così che la vita di chi ha amato, e studiato, le cose che non esistono inizia proprio in una casa che non esiste.Vissuto ai suoi tempi per lo più come un outsider, un trickster se non proprio un «teppista», oggi è considerato un classico della nostra letteratura. Collaborò al "Corriere della sera" e ad altri quotidiani, raccogliendo poi gli articoli pubblicati nel volume "Improvvisi per macchina da scrivere" (1989). Autore di saggi come "La letteratura come menzogna" (1967), "Angosce di stile" (1981), "Laboriose...

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