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Anno edizione: 1993
Anno edizione: 2014
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Se volessimo dividere in fasi l’opera di Manganelli, il Nuovo commento (1969) apparterrebbe sicuramente a quella che potremmo definire «eroica», in cui lo scrittore, impugnata una lancia istoriata di segni, tentò di raggiungere il luogo da cui sgorgano i segni stessi, vero «pozzo natale e mortale», nonché «sole nero» di ogni scrittura. Presupposto vertiginoso e altamente astratto, da cui però l’arte di Manganelli è riuscita a far scaturire una tensione romanzesca e persino – quale audacia in un tale contesto! – dei personaggi. Sicché alla fine si scoprirà che ciò che leggiamo è un fosco, metafisico dramma, la cronaca di «una qualche continuata, notturna catastrofe». Questo libro rimarrà fra gli esempi più evidenti di ciò che può la letteratura quando si abbandona totalmente al proprio gioco. Appena lesse il manoscritto del Nuovo commento, Italo Calvino indirizzò a Manganelli una lunga lettera, finora inedita, che rimane a tutt’oggi la più densa e illuminante lettura del libro. Manganelli la conservava nella sua copia del Nuovo commento, quasi quel commento al commento appartenesse ormai al testo. La pubblichiamo qui in appendice insieme al risvolto – come sempre prezioso – scritto dall’autore per la prima edizione.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"Non indugerò a riassumervi l'oroscopo che mio padre, consultatore di astri, elaborò quella notte, la notte della mia nascita, notte che un arcaico letterato definirebbe da tregenda. Una allusiva mandra di fulmini brucava un cielo di sasso, astri annodavano segni infausti, sigillavano di mostruosi paraffi la mia sentenza di nascita, nuvole nemiche disegnavano iniziali su un tetro manoscritto. (...) Mio padre levò le mani a mane riparo, la paura agitò le fiere analfabete nelle tane indifese, impallidì l'erba, l'aurora boreale, livida immobile bandiera, ornò il catafalco dello spazio celeste, l'universo venne vegliato da una luce funebre e gloriosa. (...) indagò il suolo e ne uscirono vermi rossastri, tutt'attorno, per le fattorie isolate e spaurite, nascevano vitelli bicefali e uova affollate da sei tuorli."
Uno dei libri più criptici, ermetici e folli di Manganelli. Esegesi del nulla o come intuì Calvino, il nulla, il vuoto, l'assenza-essenza della Sorgente Divina come metafora di un testo letterario inesistente e probabile? Un linguaggio antinarrativo di una bellezza esasperante, ermetico, dolcemente irritante, volutamente, contorto, di un'eleganza che annichilisce e stordisce i sensi, Testo che ancora oggi a distanza di poco più di 50 anni, conserva intatto il suo fascino oscuro, i neri incantesimi di una prosa stregonesca, in cui ogni parola, ogni frase o pagina che sia, ammicca al proprio doppio spettrale come specchio dimensionale. Purtroppo un libro per pochi, dato lo sforzo intellettuale che un testo di questa fattura e uno stile così astratto, colto e raffinato, richiede all'incauto lettore che come minimo rischia un terribile mal di testa, se non la demenza precoce...
Un commento ad un libro inesistente. Per Calvino si tratta di Dio o dell'universo. Potrebbe essere lo stesso spazio letterario. Bellissimo!
Recensioni
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recensione di Papetti, V., L'Indice 1994, n. 1
Il libro è "altrove" avvertiva una sottile fascetta rosa che Manganelli aveva voluto per la prima edizione, dopo aver scartato "Da questo libro orlon si farà un film", ammiccante e un po' teppista. La lettera di Calvino, qui pubblicata per la prima volta, lo aveva commosso profondamente. Ma non la mise in un cassetto. Rimase a lungo aperta sul tavolo, all'ingresso della casa di via Senafé, poi la infilò tra le pagine del libro che sistemò nello scalfale vicino alla porta d'ingresso. Aveva una grande fiducia nella futurità della sua opera, che si accompagnava al piacere di divertirsi e divertire, liberando la sua sorprendente energia affabulatoria. Questo non-testo rigurgita festosamente di giochi e figure e strategie che mirano alla sua morte, se un "modulato nulla" può morire. Tanti e contraddittori sono i profili dell'irato, invisibile enigma, che attira e specchia l'incauto commentatore, timorosamente sgusciante tra le pieghe periferiche, senza osare di mirare al centro. Del resto il centro lo ha toccato una volta per tutte Calvino "... ma certo, il 'testo' è Dio e l'universo, come ho fatto a non capirlo prima!... è l'universo come linguaggio, discorso d'un Dio che non rimanda ad altro significato che alla somma dei significanti, e tutto regge perfettamente". Ma forse Dio è anche l'autore che ha lisciato il testo fino a che "ne è venuta una sorta, come dicono, di 'silenzio intenzionale'...", ironico rovesciamento di quell'intenzione generale secondo Henry James iscritta nell'opera, cifra nel tappeto, cosa reale, tigre acquattata nella giungla testuale. La casa del romanzo, altra famosa metafora jamesiana, nel "Nuovo commento" è divenuta una casa vuota, senza pareti, "il commentatore i libri deve portarseli da dietro, tolti dalla sua stessa casa". Non ci stupisce quindi di ritrovate in questo naufragio i fantasmi e i relitti di altri testi manganelliani, segni ossessivi della sua turbatissima, tragica immobilità. "Si estende il mio piccolo trucco, da libro a libro, e ogni altra cosa, comparativamente, gioca sulla sua superficie", aveva suggerito il diabolico autore di "The Figure in the Carpet, alter ego di James. Manganelli va oltre: fa confluire, sciogliere i suoi testi l'uno nell'altro, ne abolisce la storia, li tiene nel cassetto per anni senza pubblicarli, e li pubblica senza rispetto della data di composizione. Usa la fabula del 'Presepio' come nicchia per ospitarvi la signora A., musa e parca di Federico H., forse ricordo del jamesiano Roderick Hudson, protagonista del romanzo eponimo, anch'egli modesto scultore, spinto al suicidio dalla donna amata. Dà il nome del cavaliere misterioso, Marco Aurelio, che si consumerà sul suo cavallo di volatile bronzo nel giorno dell'ecpirosi in "La palude definitiva". Il promesso agglomerato di testi e sottotesti si srotola davanti ai nostri occhi che non discernono gli infinitesimali incastri di storie già note e quelle non ancora lette. Al centro del commento (ma c'è veramente un centro?) è collocato "Il caso del commentatore fortunato", che da due racconti di James, "The Aspern Papers" e "The Madonna of the Future" sembra prelevare materiali per delineare un effetto di racconto. Studiosi appassionati, donne che vogliono essere sposate in cambio d'un carteggio prezioso e mai letto, un vile statuario che umanizza gatti e scimmie. Il reale e l'ideale sono inutili all'artista, equivoca o addirittura inesistente è l'identità del testo, insinua il narratore H. (Henry). Nello splendido paesaggio-rebus del "Nuovo Commento" s'innalza una bandiera gialla con la scritta "Prosa", e di un libercolo nero, addentato da un serpentello brizzolato, si legge un'unica lettera "H". Sarà ancora lui, H il maestro, sacrificato e esposto sull'altare del Testo Negativo?
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