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Anno edizione: 1994
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Bernhard scrisse per ultima questa parte dell’autobiografia che racconta i suoi primi anni, fino all’entrata nel collegio di Salisburgo. Ed è come se, tornando alle radici di angosce e orrori, egli raggiungesse uno stato di euforia, di leggerezza, di primordiale scoperta, altre volte celato o piegato alla lotta feroce con il mondo circostante.
Qui tutto comincia con un bambino di otto anni che si getta in una sfrenata spedizione in bicicletta. «Sarebbe stato del tutto contrario alla mia natura scendere dalla bicicletta dopo qualche giro; come tutte le imprese che iniziavo, anche questa la spingevo fino all’estremo». In questo bambino che si lancia con la bicicletta fino all’estremo c’è già tutto Bernhard. Ma in una versione più ariosa, di elementare felicità. Aspetto che ritroveremo anche nei ritratti mirabilmente nitidi del nonno, della madre e degli amici d’infanzia. Tutte le torture che il mondo tiene in serbo già si intravedono, si presagiscono o irrompono sulla scena (siamo negli anni del nazismo e della guerra) – ma anche, con grande naturalezza, l’irresistibile meraviglia del bambino davanti a una tazza di cioccolata calda, quando i nonni lo portano con loro nel vasto mondo, a pochi chilometri da casa.
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Letto nell'ordine cronologico che mi sono imposto con le opere di Bernhard, non troviamo qui grandi novità - forse perché abbiamo anche visto il suo teatro e in particolare "Il teatrante" - e quindi troviamo un senso di già letto nella critica feroce dell'ambiente artistico viennese e del teatro viennese. Bernhard non mi delude mai, sempre così corrosivo, dissacrante, spietato nella sua visione del mondo. Lo adoro e no... Non riesco a scrivere una recensione imparziale. Per me é un genio. Consiglio.
Mi ha doppiamente sorpreso questo quinto ed ultimo capitolo dell’Autobiografia di Thomas Bernhard. In primo luogo per la sovversione cronologica con cui l’autore sceglie di collocare l’infanzia dopo i precedenti episodi ambientati nell’adolescenza e nella giovinezza. Infatti, dopo avere seguito le tortuose meditazioni che accompagnano il giovane Bernhard nelle prime dure tappe della vita, al ginnasio (l’origine), all’avvio al lavoro (la cantina), alla malattia (il respiro) e al sanatorio (il freddo), all’inizio di questa quinta parte ci ritroviamo imprevedibilmente nei panni di un bambino di otto anni, come se la vita e il destino fossero tornati ad essere una pagina bianca. In “Un bambino” si riscontra anche qualcosa di nuovo: un’apertura, una disponibilità, a volte addirittura una compassione verso le figure umane (purché ovviamente non facciano parte degli apparati repressivi di cui sopra) che non mi sarei immaginato, soprattutto nei confronti dei reietti, degli emarginati e della gente semplice che il giovane Bernhard scopre nell’ambiente austero della campagna dapprima austriaca poi bavarese. Strabiliante libro, da leggere assolutamente se si è appassionati di letteratura tedesca.
La solitudine come la può provare un bambino precoce e sensibilissimo, che diventerà uno dei più famosi autori tedeschi del XX° secolo.
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