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Meno interessante del precedente La lingua salvata, lunga galleria di personaggi incontrati nel corso della sua giovinezza, tra amicizie speciali e bozzetti curiosi di affittacamere. La fucina di Berlino gli permette di incontrare personaggi del calibro di Brecht o Grosz; interessante notare come le donne sue amiche fossero estremamente emancipate e all'avanguardia per stili di vita.
è il secondo volume della trilogia scritta da Canetti sulla sua vita. Da leggere anche per approfondire e capire meglio questo grande scrittore
“Il frutto del fuoco” costituisce il primo dei 2 volumi in cui Canetti delinea la sua biografia di giovane adulto, nel periodo 1921-1931. Il testo prende avvio da quando a 16 anni lo scrittore lascia la Svizzera, per andare a vivere a Vienna e Berlino. Si delinea così tutta la sua formazione intellettuale, culturale e umana, attraverso i tanti incontri, in particolare con Kraus e Brecht, attraverso i rapporti familiari, in particolare con la mamma e il fratello prediletto Georg, e attraverso le sue idee che lo porteranno a scrivere il suo primo romanzo, e poi più avanti, il grande studio su Massa e potere. Si tratta di un libro interessante in cui si tratteggiano inclinazioni umane e intellettuali e contesti culturali che permettono al lettore di cogliere vividamente lo Zeitgeist degli anni Venti nel cuore dell’Europa.
Recensioni
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Questa seconda parte dell'autobiografia di Elias Canetti si apre subito dopo la «cacciata dal paradiso» di Zurigo, che chiudeva La lingua salvata. Ora siamo a Francoforte, nel 1921, e il giovane Elias comincia a intravedere intorno a sé un nuovo mondo, formicolante di figure che cercano di sopravvivere fra «inflazione e impotenza». «Era finita per sempre l'epoca in cui l'ignoto si riversava in me, senza incontrare ostacoli». Dalla ricettività totale dei primi anni si passa ora a uno scontro con tutto e con tutti, che permette a Canetti di saggiare se stesso, di scoprirsi nella sua irriducibile peculiarità. Se a quest'ultima si può dare un nome, sarà quello della rivolta contro la morte, una rivolta «senza fine». La giovinezza di Canetti è un'iniziazione a questa scoperta, vissuta facendo appello a tutte le potenze arcaiche, che lo hanno sempre assistito. Nell'ombra, il modello mitologico è Gilgamesh, che traversa le acque della morte per trovare la vita eterna. Ed è lo scandalo di tutto ciò che scompare a mantenere intatta in Canetti un'immensa forza del ricordo. L'intensità che vibra in ciascuna delle numerose figure che appaiono in queste pagine presuppone tale sottinteso. Ciascuna vuole incidersi nella memoria e nella prosa con segno indelebile. Saranno gli ospiti patetici della pensione Charlotte di Francoforte e gli intellettuali frenetici di Berlino; saranno gli ascoltatori di Karl Kraus e i manifestanti che incendiano a Vienna il Palazzo di Giustizia; saranno l'amata Veza e la deliziosa Ibby; sarà la madre, che i lettori de La lingua salvata conoscono bene e che ora, assillata dalla gelosia per il figlio, lo costringe a una inarrestabile commedia, dove donne «inventate» servono a coprire donne vere e proibite; saranno infine Karl Kraus stesso e Brecht, Grosz, Babel', che Canetti conosce a Berlino. Tutte le loro voci sono qui salvate. E, intrecciata per sempre alla loro, riconosciamo qui la voce di Canetti stesso. Appartengono a questi anni le esperienze che saranno decisive per la sua opera di scrittore: la visione aristofanesca, che sembra offrire «l'unica possibilità di tener unito ciò che si frantumava in mille schegge»; la fascinazione ossessiva per Kraus; la massa, questo enigma incombente come mai prima sul nostro tempo, a cui Canetti dedicherà decenni di riflessione; infine il disegnarsi di una «comédie humaine dei folli», di cui rimane, quale unico, grandioso frammento il romanzo Auto da fé. Inseguito dalle voci, Canetti non si cura di darci un quadro dell'epoca: ma l'aria di Francoforte, di Vienna e di Berlino in quegli anni circola in queste pagine come una presenza palpabile. In toni opposti, e stridenti fra loro, le città ci parlano di un periodo in cui «ciò che si abbatteva sugli uomini era più che un grande disordine, erano come tante esplosioni quotidiane». Ovunque, Canetti incontra varianti di uno stesso sfondo: il caos, perpetua minaccia e prezioso nutrimento. I suoi bagliori sono quelli del «fuoco», di cui questo libro come già Auto da fé e ogni grande libro è il «frutto».
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