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recensione di Boatto, A., L'Indice 1995, n. 2
Per Paul Valéry, "Le marchese escono sempre alle cinque" (del pomeriggio). Il poeta, dal canto suo, si alzava tutte le mattine prima dell'alba. Davanti a una tazzina di caffè e a una lampada accesa, registrava su un quaderno i meccanismi del proprio pensiero. Il suo scopo era di sorprendere il funzionamento reale della mente, la genesi misteriosa delle idee. Si prometteva di elaborare un metodo che consentisse di pensare con infallibile precisione. Il resto della sua proficua giornata era spartito con saggezza fra le faccende del cuore, in cui si trovava di continuo ingolfato, e le incombenze egualmente pressanti di scrittore ufficiale della Francia. Se qualcuno ha sostenuto con diligenza simile ruolo rappresentativo, per più di venti anni, da un dopoguerra al termine di un altro conflitto, questi è stato il creatore di Monsieur Teste.
Contro il Valéry ufficiale si era mossa Nathalie Sarraute, nel lontano 1947, in un saggio polemico e ingiusto, ma fortemente stimolante per la feconda mancanza di rispetto. Era intenzionata a scoprire dietro la maschera troppo consacrata il volto segreto di Valéry. Ma in quelle pagine era questione soltanto del poeta, mentre questi "Sguardi sul mondo attuale" interessano esclusivamente il Valéry persona pubblica.
Nella successione temporale, le parole dello scrittore rappresentativo - è la sua caratteristica fondamentale - vengono obbligatoriamente prima. Svolgono un ufficio inaugurale di apertura. Prefazioni, introduzioni, allocuzioni, discorsi. Qualcosa inevitabilmente segue sempre dopo, come l"'intendence" per Napoleone: libro, esposizione, rassegna. Si tratta in prevalenza di manifestazioni di ampiezza enciclopedica, riassuntiva, nazionale. Non mancano tuttavia, come osservava già il recensore della "Nouvelle Revue Franèaise" alla prima edizione di questi "Sguardi", manifestazioni del tutto secondarie, in particolare nel settore della produzione libraria. Il diritto di assoluta precedenza spettante allo scrittore ufficiale condiziona la vastità e la varietà, la larghezza dei temi e degli argomenti su cui è chiamato a pronunciarsi. Elenchiamo gli argomenti scorrendo l'indice di questo libro. Incontriamo: l'Europa nella sua grandezza e nella sua decadenza, la storia, il temibile potere persuasivo dei mezzi di comunicazione meccanica, i partiti politici, la libertà, la dittatura, l'America come proiezione dell'Europa, la Francia, Parigi, il progresso, i rapporti fra l'Oriente e l'Occidente, l'arte francese, lo spirito, il lavoro, la letteratura francese, l'Académie franèaise, il museo, l'esposizione universale. Comprendono una molteplicità di questioni, una sfaccettatura di fatti che toccano in modi diversi la politica, la storia, la vita sociale. Colui che li osserva si proclama un "buon europeo" con propensioni verso il Mediterraneo; che vuol dire in sostanza essere un "buon francese", ciò che equivale in definitiva a un "buon parigino".
Precedendo, trainando un così complesso e non lieve materiale, lo scrittore ufficiale che è tanta parte di Valéry, fa opera soprattutto di guida, di convinzione, di orientamento. Conduce, illumina, chiarisce, suggerisce, persuade. Proprio perché deve rivolgersi a tutti, le qualità che animano il suo stile non possono essere che la chiarezza, l'amabilità, l'erudizione con un velo di necessaria pedanteria, il senso spiccato delle convenienze e delle circostanze, una sorta di "tatto" sociale. Sorprendiamo così il superbo Valéry spingere la sua modestia pubblica fino ad adottare qualcosa che chiama "buon senso". Con una punta di civetteria, eccolo collocarsi deliberatamente a livello del comune uomo della strada. L'obiettivo dunque che deve centrare lo scrittore ufficiale è l'universo umano in generale, proprio nel suo duplice significato: di generalità degli argomenti e di totalità degli uomini, in pratica la comunità dei francesi, di tutti i borghesi che gravitano attorno alla sirena di Parigi. Valéry si dimostra pericolosamente avvantaggiato a svolgere simile funzione per un fatto semplice e un po' paradossale: di poter fare un uso utilmente negativo di ogni qualità positiva di cui è fornito in abbondanza. Come poeta e come pensatore. Se i suoi versi e la sua riflessione erano orientati verso l'essenza, la sostanza, l'origine, come scrittore rappresentativo della Francia poteva piegare con facilità l'essenza verso quel generale e quell'universale che troppo volentieri si rivelano apparentati col vuoto e l'indeterminatezza priva di contenuto. Valéry che aveva posto il pensiero al di sopra della letteratura e della stessa poesia, con quanta tranquillità poteva porre ciò che chiamava ancora pensiero al di sopra di ogni cosa, comprese, "va sans dire", la realtà, la storia e la politica. Fino a espellerle dal suo discorso.
Prendiamo da questi "Sguardi" due argomenti diametralmente opposti: un argomento importante come la letteratura francese e un argomento scottante come la dittatura. Ebbene lo scrittore svolge il tema di storia letteraria senza nominare nemmeno un poeta, un romanziere, un drammaturgo francese. La letteratura della Francia assume l'aspetto di un salone vuoto. Allo stesso modo affronta per ben due volte il tema della dittatura, senza mai citare nessuno dei signori che, attorno a lui, nella vasta Europa, la stanno incarnando. Dopo tutto, nell'anno 1934 in cui redige i due suoi interventi, non erano di poco peso i dittatori in azione sulla scena del mondo.
"Togliete ogni cosa perché io possa vedere", aveva scritto Valéry. In una specie di vuoto pneumatico, l'intellettuale ufficiale costruisce in positivo un modello di dittatura del tutto mentale e astratto come una cattiva idea platonica. Si badi. Valéry mostra di conoscere i pericolosi strumenti di ogni dittatura. Si chiamano mezzi di manipolazione delle masse, strumenti di propaganda. Ne ha discusso con penetrazione in un'altra sede - "Ipotesi" del 1929 -, ma non li applica ora nella nuova occasione, non li collega insieme. Stranamente lo scrittore ufficiale parla e pensa sempre nell'universale, ma come se l'universale fosse simile a una sfera divisa in sezioni, composta a spicchi. Pensa nell'universale secondo le circostanze e le circostanze condizionano anche la risposta. Forse il giudizio più mite che è consentito dare a questo discorso attorno alla dittatura è il seguente: ne emana un suono curiosamente irresponsabile, ma anche innocente, inoffensivo, privo di ogni peso. La sua trattazione ricorda un trasloco e una cancellazione.
Sorprende, nella vecchia nota della "Nouvelle Revue Franèaise", l'osservazione attorno all"'incapacità di coordinare" di Valéry e alla mancanza nei suoi scritti di "costruzione". Ma è probabile che il grande Valéry si nasconda nei frammenti, specie negli appunti buttati sul foglio nelle prime ore della sua laboriosa giornata. Così anche in questi "Sguardi sul mondo attuale", se oscuriamo la struttura retorica complessiva e secondiamo l'evidente inclinazione dispersiva della pagina, conferiremo forza e rilievo a un grande numero di frammenti, ricchi di lucide e sottili osservazioni, di gravi inquietudini e persino punteggiati di impertinenze.
Ma qui si tratta solo di citare. Mi limito a un semplice assaggio. A un avvertimento: ''Badiamo a non entrare nell'avvenire indietreggiando". A un'osservazione di ordine estetico: "I costruttori delle grandi epoche hanno sempre concepito i loro edifici di getto, e non in due serie di operazioni, le une relative alla forma, le altre alla materia. Se mi si consente l'espressione, essi pensavano per materiali". A un'anticipazione storica: "L'Europa aspira palesemente a essere governata da una commissione americana". Tuttavia una delle grandi affermazioni di Valéry non nasce in questo libro: "Noi altri, noi civiltà, ora sappiamo di essere mortali". Con la sua cupa risonanza la frase rimbalza solo in questi "Sguardi", riportata succintamente in due luoghi, a proposito dello "spirito" e a proposito dell'"America", considerata come un fantasma ossessivo dell'Europa.
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