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La verità, vi prego, sull'amore - Wystan Hugh Auden - copertina
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verità, vi prego, sull'amore

Descrizione


"I temi di queste poesie sono l'amore e la disonestà, i due poli tra i quali ci siamo trovati a soggiornare nel nostro secolo, pronti a gloriarci della loro occasionale divergenza ma bravissimi, anche quando siamo sfortunati, a conciliarli fra loro, a fonderli insieme. Ci sono buone ragioni se i versi del poeta oscillano tra la più intensa tenerezza e parossismi di indifferenza, e se da queste oscillazioni nasce uno stridente lirismo che non ha precedenti". Così scrive Iosif Brodskij presentando queste dieci poesie di W. H. Auden, composte negli anni Trenta.
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Dettagli

17
1994
19 novembre 1994
68 p., Brossura
9788845911064

Valutazioni e recensioni

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Tati
Recensioni: 5/5

Sublime a dir poco, nonostante la brevità. Come sempre si pone come un poeta dall'animo, riuscendo nell'impresa di far volare ogni spirito.

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Chiara
Recensioni: 5/5

Anche se di poche pagine merita, poesie semplici ma davvero belle

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giovanni
Recensioni: 3/5

confesso che personalmente mi aspettavo molto di più da un libricino così famoso: la felice trovata del titolo è forse la cosa migliore in questa manciata di quelle che per ora mi sono parse buone poesie. Ad ogni modo Josif Brodskij nella prefazione ne parla come di capolavori, date retta a lui.

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Voce della critica

AUDEN, WYSTAN HUGH, La verità, vi prego, sull'amore, Adelphi, 1994
AUDEN, WYSTAN HUGH, L'età dell'ansia, il melangolo, 1994
AUDEN, WYSTAN HUGH, Gli irati flutti, o l'iconografia romantica del mare, Fazi, 1995
recensione di Concilio, C., L'Indice 1995, n. 6

"Nell'epoca della notte del mondo l'abisso deve essere riconosciuto e subìto fino in fondo. Ma perché ciò abbia luogo occorre che vi stano coloro che arrivano all'abisso". I poeti. Questa la risposta alla domanda di Holderlin ripresa da Heidegger: "Perché i poeti?". E nessuna definizione che riguardi i poeti o la poesia potrebbe meglio introdurre il lungo poema di Auden, "L'età dell'ansia", pubblicato nel '48; nello stesso anno in cui Orwell ha scritto postdatandolo il romanzo "1984". Più chiaro dovrebbe essere allora di quale notte, di quale abisso e di quale angoscia parli Auden in questo cocente dopoguerra. Abisso come 'Abgrund', luogo della scomparsa del fondamento, e abisso come guerra. E le guerre Auden le ha vissute da vicino: nel '36, in Spagna, tra le file dei repubblicani; nel '38 in Cina con Isherwood a testimoniare la guerra cino-giapponese ("Viaggio in una guerra", SE, 1993).
In questa "egloga barocca", quattro personaggi s'incontrano nel "banale rumore" di un bar. I tre uomini, Quant, Malin ed Emble, sono tutti alle prese con una materia vitrea. Quant non riconosce la propria immagine di "vedovo" vecchio e stanco, nello specchio del bar, come altro sé. Malin, il bicchiere colmo, riesce a "dimenticare la sua divisa dell'Aviazione Canadese" e a "tornare con gioia ai suoi interessi reali". Emble, infine, posa il bicchiere vuoto, e riflette su quel "generale disagio della gioventù" che lo ha portato a indossare una divisa di cui va fiero. Rosetta, unica donna, si accende invece una sigaretta. E chissà se l'opposizione tra queste due sostanze, vetro e fumo, non trovi eco in quei più tardi versi di canzone: "Egli le disse: 'Tu sei una verità nebulosa'; / E lei a lui: 'E tu, una splendida menzogna'". La menzogna del sé, baluginante nello specchio, abbandonato o affidato come una muta di serpente alla divisa; e la verità femminile, velata dal fumo della sigaretta.
Il prologo presenta uomini divisi: Quant che apostrofa il suo alter ego "Mio 'due', mio doppio, mia cara immagine", mentre Malin arriva a denunciare con un linguaggio freudiano ma già lacaniano nel riferimento al "desiderio dell'altro": "L'io è un sogno / Finché il bisogno del prossimo lo crea con un nome". Osservati da Emble, tutti loro paiono: "Lontani, alienati, / Meditano sull'essere fino a che i bar chiudono / I malcontenti... / Tristi inseguitori del Forse... / ... interrogando / Qualcuno che sospirando scompare". Ma l'irruzione del pubblico clamore della radio nel privato dei pensieri, avvicina i quattro a quel "comune mondo" di "grandi massacri e di molto dolore". Come l'intercalare di una preghiera, per quattro volte, i loro silenziosi soliloqui s'accordano coralmente su un'unica riflessione: "Molti sono periti e più periranno", prima che una blasfema formula pubblicitaria li unisca in un colloquio. "E quando concludendo, l'apparecchio disse: 'Comprate un buono. Il sangue salva le vite. / Donate subito. Indicate questa stazione.' / Essi non poterono più a lungo tenere per se questi pensieri, / ma volgendosi l'un verso l'altro sugli alti sgabelli di legno, / fecero conoscenza".
Le Utopie si sono ritirate come un tempo i ghiacciai, lasciandosi dietro cumuli di detriti; uomini in cerca di identità; un'impagabile nostalgia di casa. I quattro personaggi inscenano un nuovo dramma, dal titolo: "Homo Abyssus Occidentalis", erede de "L'Uomo Empirico Economico" postrinascimentale di un precedente lungo poema ("New Year Letter", 1940). L'uomo eliotiano, che compiange gli amici, al sicuro, durante la cerimonia del tè: "A sacrament / of tea and toast", dice Auden citando il verso inverso ("between toast and tea") del "Canto d'amore di J. Alfred Prufrock" di Eliot. E l'abisso della guerra: "Era la notte dei morti". Guerra che come una tempesta si abbatte squassando il vascello dell'io, come dice l'epigrafe alla seconda parte, in cui vengono ripercorse le sette età dell'uomo (il riferimento è a Shakespeare), ricorda Magrelli nella prefazione. Sette, dunque, e non una, sono le età dell'ansia: dall'infanzia "indifesa" della culla, all'adolescenza dei sogni solitari alla terza età dell'amore immaturo.
La quarta età porta la guerra, tempesta che viene da nord e riduce in notte il giorno, quando veniamo derisi dal senzasenso, prima che si avvii l'età della maturità, quando l'uomo "impara a parlare più lento", "meno rude" d'un tempo e appare "uomo / Realmente arrivato, libero alfine / D'ogni basso legame". La sesta età si rimira allo specchio e, dice Malin, "vede / Il genio blaterone di un'epoca imbecille, / Un ricco noioso"; è l'età della seconda infanzia che della prima ha smarrito il sentiero: "Ho perduto la chiave / Del giardino. Com'era verde un tempo". E infine l'età autunnale e pomeridiana della stanchezza, di Quant, rapito dallo sguardo "impaurito" della propria vecchiezza allo specchio, per sfuggire alla quale egli invoca la "ninfa" Rosetta perché si faccia "guida". La vita è pellegrinaggio "il cammino a ritroso alla Casa della Nonna". Viaggio che nella terza parte ripercorre le sette età attraverso un paesaggio purgatoriale di terra desolata - ricorrono gli aggettivi eliotiani 'hollow' e 'waste' - in cui s'insinuano squarci di promesse di paradiso o abissi infernali, perché tale è divenuto quel 'chasm' (abisso) di coleridgiana memoria più volte evocato, che perde qui ogni aura visionaria per farsi realtà esistenziale. La quarta parte è un viaggio verso la casa di Rosetta durante il quale le quattro voci ridivengono una per intonare un canto funebre in onore di uno di quei semidei che pure devono aver salvato uomo e natura dalla barbarie. Troppo stanchi per festeggiare e per confessarselo, i quattro officiano al cospetto di "piccoli dèi", oggetti quotidiani e suppellettili d'arredo, l'unione tra Emble e Rosetta. Ma questa quinta parte è "recita": Rosetta, ora "Regina dell'amore", ora "visibile verbo", delusa, utilizza questo suo potere di parola per una lunga e finale invettiva. Epilogo che è un ritorno a casa per il vecchio Quant; mentre Malin, smessi i panni del poeta-filosofo, torna in caserma.
Meglio che raccontarla è però leggerla quest'opera, nella bella traduzione con testo a fronte e con la guida di Valerio Magrelli, per apprezzarne la sobrietà e il rigore formale, il "camaleontico" andamento metrico, l'audacia di rime interne e enjambement, la semplicità del linguaggio, l'attualità dei temi. Perché "L'età dell'ansia" non è solo un lungo poema, che racchiude le verità della nostra età in aforismi filosofici; è racconto; d'amore e di guerra è canto; diretto da un regista discreto è dramma sull'uomo moderno. Uomo che si guarda allo specchio e, posto "faccia a faccia con la propria pazzia", non si riconosce, perché di fronte ha l'abisso.
Sono state le "Poesie giovanili", pubblicate nell'agosto scorso in Inghilterra a segnare "il ritorno del poeta"; il resto lo si deve forse a un film. Chi ha visto "Quattro matrimoni e un funerale" ricorderà di un momento in cui, dopo le risate, la platea zittisce: "Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono, / fate tacere il cane con un osso succulento, / chiudete i pianoforti... / Lui è morto"; veniva recitata una poesia. Era Auden! Era "Funeral Blues" di Auden, ora incluso nella piccola antologia con testo a fronte edita da Adelphi con introduzione di Josif Brodskij - altro commentatore d'eccezione, che parla di Auden con toni accorati: "Leggete Auden e non ve ne pentirete; e anzi, sì, se si può accettare la morte, è perché lui è morto".
Auden è però anche autore di libretti d'opera, e "Funeral Blues" fu musicata dal compositore Benjamin Britten per "The Ascent of F6" (1936), uno dei lavori teatrali scritti in collaborazione con Isherwood. L'amicizia con Britten avrebbe potuto favorire un connubio simile a quello tra Bertolt Brecht e Kurt Weill, se il musicista ormai famoso non avesse voltato bruscamente le spalle ai circoli artistici del Greenwich Village di New York, dove era stato introdotto da Auden (nato però a York, in Inghilterra, e non a New York, come si legge su qualche risvolto di copertina).
Primo grande poeta postrnodernista, "il più grande poeta inglese di questo secolo" secondo Brodskij, dalla tradizione modernista Auden si è emancipato, perché l'artista "deve combattere contro il proprio passato... contro ciò che nella generazione precedente lo coinvolge di persona, nel caso di un poeta, per esempio, la tradizione poetica e le posizioni teoriche della generazione precedente". Troppo consapevole per patire quell'"Angoscia dell'influenza" di cui parla Harold Bloom (Feltrinelli, 1983), è stato lo stesso Auden, come ricorda Magrelli, a sciogliere il nodo gordiano delle influenze, "ringraziando" in un suo componimento quei "padri" i cui nomi tornano nei saggi sul romanticismo, ora riediti dopo sette anni di indifferenza.
E come dalla conchiglia del sogno di Wordsworth nel cui guscio riverbera il perpetuo e minaccioso rumore del mare, allo stesso modo si rincorrono nel saggio echi delle leggende legate a questo topos. Dal "Marinaio" di Coleridge a Ismaele-Melville, da Ibsen a Verne, da Don Chisciotte a Giona, dai romantici ai simbolisti francesi, le vicende e i personaggi trattati divengono pretesti per riconsiderare il ruolo del poeta nella società. A leggere questi saggi si apprezza infatti tanto il poeta quanto lo studioso; tanto la poesia, "conchiglia" avvicinata all'orecchio per sentire il mare, quanto la filosofia, "pietra" della razionalità, entrambe raccolte e serbate con il tesoro di leggende, di eroi, asceti e poeti, o dannati, in un unico libro.

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Wystan Hugh Auden

(York 1907 - Vienna 1973) poeta inglese. Studiò a Oxford, nel collegio di Christ Church, e dopo vari viaggi in Germania insegnò in una scuola elementare. Nel 1930 pubblicò il primo volume di Poesie (Poems); in seguito collaborò con l’amico Christopher Isherwood alla stesura di tre opere teatrali in versi, Il cane sotto la pelle (The dog beneath the skin, 1935), L’ascesa di F6 (The ascent of F6, 1936) e Alla frontiera (On the frontier, 1938). Nel 1936 partecipò alla guerra civile spagnola, nelle file dei repubblicani; nel 1938 sposò la figlia di Thomas Mann, Erika, e l’anno seguente si trasferì negli Stati Uniti, dove prese la cittadinanza americana. Tornò in Inghilterra per un breve periodo nel 1956, per assumere la cattedra di poesia a Oxford. Oltre alle opere citate pubblicò, tra l’altro,...

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