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Lettere da Londra - Alberto Arbasino - copertina
Lettere da Londra - Alberto Arbasino - 2
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Lettere da Londra

Descrizione


A Londra, negli anni Cinquanta, non c’erano ancora mode giovani o minigonne o icone pop. Erano però disponibili, in città o in campagna, T.S. Eliot, E.M. Forster, Ivy Compton-Burnett, Harold Nicolson, i Sitwell, W.H. Auden, Angus Wilson, William Golding, Christopher Isherwood, Stephen Spender, Kingsley Martin, Kingsley Amis, il terribile Dr Leavis... E a teatro, ogni sera, c’era una bella scelta fra John Gielgud e Edith Evans e Ralph Richardson e Peggy Ashcroft e Laurence Olivier e Margaret Rutherford e Alec Guinness e Bea Lillie o Vivien Leigh... Settecento, o anni Trenta? Avanguardie di protesta, o ribalderie vittoriane? Forte impegno, o vaudeville di travestiti? Beethoven diretto da Klemperer, Galina Ulanova coi balletti del Bolshoi, o novità di Benjamin Britten e Samuel Beckett?
Il giovane Arbasino schedava le politiche del dopoguerra al Royal Institute of International Affairs. E intanto osservava il funzionamento delle tipiche istituzioni, poi definite anche «prestigiose» o «mitiche»: il «Times», il «New Statesman», il Labour Party, le Corti di Giustizia, le bande dei teddy boys, la destra liberale e la sinistra accademica, l’underground alto e basso, il sense of humour e l’understatement elegante di critici esemplari come Cyril Connolly e Kenneth Tynan, Peter Heyworth e John Pope-Hennessy. A Londra si potevano fare diverse scoperte, e parecchi mostri sacri aprivano indulgenti le loro tane. Da Roma, Mario Pannunzio chiedeva delle «Lettere inglesi» da pubblicare sul «Mondo». Nacquero così queste corrispondenze confidenziali, che il tempo ha trasformato in manualetto ‘live’ di grandi autori del Novecento.

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Dettagli

1997
12 marzo 1997
382 p., Brossura
9788845912788

Voce della critica


recensione di Boatto, A., L'Indice 1997, n.10

on queste fittissime e saporose "Lettere da Londra", Arbasino ha ultimato il suo dittico continentale. L'altro pannello, ovviamente, è fornito da "Parigi o cara", ristampato due anni fa sempre da Adelphi. Le note parigine appaiono assiepate tutte fra la fine degli anni cinquanta e l'inizio dei sessanta. Mentre quelle inglesi si aprono sì al termine dei medesimi anni cinquanta ma si distendono poi per l'intero arco del decennio seguente. Con in più un unico malinconico "sospiro" parigino e un paio di biglietti londinesi imbucati molto tempo dopo. Così, oggi, la nostra angolazione temporale è costretta ad arretrare nella misura media di oltre trent'anni: che è una ragguardevole misura. Londra porta ancora i segni della guerra, e la "Waste Land", con cui Arbasino avvia giustamente la sua inchiesta, si è rivelata profetica nei confronti della City e del London Bridge devastati dalle bombe.
Per altro l'Arbasino che si affaccia sulle sponde della Senna e del Tamigi si presenta sempre lo stesso: un esordiente fin troppo maturo che, sotto la copertura di approfondire i propri studi di politica internazionale - svolti del resto coscienziosamente -, si abbandona non alle sue inclinazioni ma alle sue passioni: la letteratura, il teatro e la musica. Un amore che se sconfina nella venerazione apertamente confessata, s'identifica pur sempre con una spregiudicata compromissione con la vita. L'"abbandono" e l'"amore" di Arbasino non potrebbero dimostrarsi maggiormente singolari e quasi unici: una mescolanza di rispetto e di distacco critico, di ammirazione e d'ironia, un'attenzione spartita in eguale misura fra l'opera e il suo autore, i libri e il personaggio, assieme all'intero mondo che gli sta dietro o davanti.
Lo sguardo un po' da camaleonte di Arbasino ruota attorno avido e diligente per fissare il profilo di un uomo illustre, i mobili di una stanza, l'atmosfera di una redazione o di un appartamento, di un albergo di gran lusso, di una tana o di un castello. Il "pastiche" stilistico che teorizza e pratica felicemente è prima di tutto un molto concreto "pastiche" di condotta di vita quotidiana. Le lettere risultano così un saggio critico per penetranti frammenti, una serie di spregiudicati ritratti di personaggi e di istituzioni famose, la pittura minuziosa di una successione di ambienti, la registrazione di un mondo.
In quanto a lucidità combinata a una bella ingordigia il libro di prove ne fornisce anche troppe. I grandi autori o i grandi personaggi, i signori che le quarte di copertina chiamano immancabilmente "mostri sacri", ci sono tutti. Da T.S. Eliot a E.M. Forster, da Ivy Compton-Burnett a W.H. Auden, da Sitwell a Angus Wilson e poi ancora Stephen Spender, William Golding, Kingsley Amis. Non riuniti in una grande composizione tipo ritratto di famiglia, bensì isolati in singole istantanee nitide e sovraccariche, affettuose e cosparse di gocce al vetriolo.
Arbasino visita più volte Eliot, modesto e cortese, nel suo ufficio della Faber & Faber, seduto fra una stufetta e un gatto. Parlano della giovane poesia e dell'attività teatrale del grande poeta. La Compton-Burnett viene inquadrata nel suo salottino, durante il rito del "tea", gentile e reticente: una signora perfettamente conformista. Ciò che scatena nel nostro visitatore uno "stream" numerativo di tutte le nefandezze contenute nei romanzi della signorina. Il ritratto invernale di Forster ottantenne contiene di tutto, reverenza e puntigliosità, imparzialità e commozione. Tanto che nell'addio all'autore di "A Passage to India", che prende tutto solo il treno serale per Cambridge, non ci stupiremmo se Arbasino allungasse la mano per alzargli il bavero del cappotto e proteggerlo così dal freddo.
Se il suo autore non sta a Londra, Arbasino si mette ulteriormente in viaggio. Raggiunge uno svagato Auden a Heidelberg, il "nuovo" poeta Thom Gunn in California e un "feroce" Christopher Isherwood a Santa Monica: sostiene ostinato che la Berlino degli anni trenta era una città noiosissima e provinciale. Infine, instancabile, sale o scende fino al castello di Montegufoni, nel cuore della Toscana, per incontrare i Sitwell al completo, la coppia dei fratelli Osbert e Edith.
Nella Londra di Arbasino, l'attento partecipe osservatore coglie due fatti centrali. I grandi autori, per quanto attivi e vigilanti sulla loro fama, appartengono ormai a un passato glorioso. Malgrado gli autori proletari e gli scrittori arrabbiati, Arbasino non si lascia ingannare. Ciò che registra è la "grande riduzione attuale della creatività britannica". Le cose stanno cambiando e le bande di "teddy boys" sono là a dimostrarlo con molto rumore e grande scostumatezza. Dall'alto la cultura e lo stile di vita stanno scivolando verso il basso, la massa, con la sua vitalità e la sua sbracatura. Dopo una letteratura chiusa in un universo autosufficiente, il nuovo universo autosufficiente è costituito solo dalle mode giovanili, che privilegiano altri linguaggi. La musica, in primissima fila, con i Beatles già saliti sul palcoscenico e, per brevissimo tempo, la pittura, con i pop, quelli londinesi accanto, se non prima, di quelli americani.
Ma da tempo qualcosa è cambiato anche in Arbasino. La difficile combinazione fra un così alto numero di opposti ingredienti appartiene quasi esclusivamente al viaggiatore di un tempo. È forse l'affievolirsi di questo affetto per la vita e le sue molte espressioni, oggi così evidente nei suoi scritti, a darci l'odierno Arbasino moralista ossessionato e un po' scomposto?

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Conosci l'autore

Alberto Arbasino

1930, Voghera

Alberto Arbasino è stato narratore e saggista eclettico. Ha dato nei suoi scritti, da Le piccole vacanze (1957) a Fratelli d'Italia – del quale ha pubblicato tre differenti stesure (1963, 1976, 1993) – a Mekong (1994), un ritratto caustico e impietoso della società italiana del secondo Novecento. Assertore della 'gita a Chiasso' come antidoto al provincialismo culturale italiano ereditato dal fascismo, fu tra i sostenitori del Gruppo 63.Eccentrico, colto e curioso cronista della realtà sociale e culturale degli anni Sessanta e Settanta, ne lasciò un vivo ritratto nelle prime opere, che tendono a una giocosa mescolanza di generi letterari: dalle impressioni di vita fermate nelle pagine di Parigi o cara (1960), Grazie per le magnifiche rose (1965), Sessanta...

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