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Dove non si parla d'amore e altri racconti
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Dove non si parla d'amore e altri racconti - Nina Berberova - copertina
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Dove non si parla d'amore e altri racconti

Descrizione


Nei racconti che compongono questo volume non si parla d'amore, ma delle emozioni senza nome, senza etichetta, che vincolano il cuore di un'umanità spaesata, non connotata da ruoli o qualifiche, stupita dal fluire del tempo come dagli scarti improvvisi del destino, in cerca di sé nelle stanze di case non riconoscibili, in chiese abbandonate a una sacralità senza riti, in città sospinte dalla storia di altri mondi. Quel sommovimento di tutto, quel senso di perpetua precarietà che la Rivoluzione russa impose in una vasta parte del mondo diventano qui un clima e un fondale psicologico. L'esilio come condizione dello spirito, espressione dello smarrimento e della vulnerabilità dell'anima e nonostante tutto un'ostinata vitalità dei sentimenti.
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Dettagli

1997
26 marzo 1997
222 p.
9788845912801

Valutazioni e recensioni

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Con questa raccolta di racconti si allarga la prospettiva su Nina Berberova, autrice già conosciuta con il bellissimo e significativo “Il giunco mormorante”. Qui troviamo riunite situazioni che descrivono la vita interiore di quella parte di borghesia russa esiliata negli anni ‘30 e rifugiatasi nel resto dell’Europa. Persone che difendono tenacemente la propria identità smarrita trasportata altrove, le attitudini, le emozioni rispetto a ciò che è andato perduto e quanto si vuole salvare. In questo tentativo di resistenza si avverte una nostalgia e un rimpianto, un senso di drammatico disorientamento, che rendono questi racconti particolarmente intensi. È come se le immagini andassero a sfumare per una sorta di pudore e di dolore, rendendo queste vite mai del tutto definite, eppure, così, estremamente definite agli occhi di chi legge. Non si parla d’amore, ma si parla di quella condizione di esilio che é una condanna a non trovare mai un proprio posto.

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Karina
Recensioni: 4/5

Primo incontro con l'autrice russa che ci fa immergere in un mondo vicino e lontano al tempo stesso, dove riusciamo a percepire l'affetto che prova per la sua Patria, ma anche i sentimenti contrastanti che le provoca. Racconti molto diversi tra loro con protagonisti di diverse classi sociali, russi, esuli, personaggi accomunati tra loro per il solo fatto di essere russi. Una buona raccolta di racconti per avvicinarsi e scoprire l'autrice, di cui vorrete sicuramente leggere altro.

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Voce della critica


recensione di Alleva, A., L'Indice 1997, n.10

"Poema in prosa", "I guanti", "La fiaba dei tre fratelli", "Sua moglie", "La riva eterna" sono i titoli di alcuni fra i più belli dei diciannove racconti scritti e pubblicati negli anni trenta, e ora per la prima volta raccolti in volume. Si tratta di racconti dalla lunghezza uniforme - non raggiungono quasi mai le dieci pagine -, che in comune hanno al centro la descrizione di un personaggio principale, uomo o donna, che parla in prima persona o viene descritto dall'esterno, ed è sempre un russo emigrato in Francia, più spesso a Parigi. Alla Berberova, all'epoca, riuscivano meglio i personaggi maschili.
La condizione descritta in queste pagine è quella dell'emigrante, di colui che ha lasciato il passato dietro di sé e vive in un dilatato, fisso presente, al quale non riesce ad aderire perfettamente. La Berberova è maestra nel tratteggiare personaggi inutili "come un segno duro", si dice in un racconto, e il segno duro era una lettera abolita dal nuovo alfabeto; inutili come trapassati che vivono una seconda vita, condannati all'inazione e alla contemplazione; tutti protesi, aggrappati alla sopravvivenza, che s'incarna in una stufa di maiolica, in una trappola per i topi, o in un vecchio cappotto gettato sul letto per sopportare meglio il freddo notturno.
Un po' dannate perché danneggiate dall'aver abbandonato la propria terra, le inquiete, complicate creature berberoviane vivono alla giornata, hanno rovesci di fortuna, sono condannate allo stato di precarietà e disaffezione, all'interno del quale vige la legge dell'impossibilità del ritorno, e della possibilità di altri distacchi, altri lutti, altre separazioni, altre perdite, che riaprono una ferita mai rimarginata. La loro dannazione consiste nella solitudine, un vuoto senza scampo. Chi tenta di riempire il vuoto con il benessere, amanti, viaggi, soldi, come la protagonista de "I guanti", è destinato a perdere tutto e anche se stesso, ad autodistruggersi. La Berberova descrive, unica fra gli autori dell'emigrazione, la vita degli emigrati proletari, e questo interessava e veniva approvato dai critici russi dell'emigrazione.
Quanto più amari sono i racconti, tanto più intensa si fa la narrazione, che è sempre cadenzata dall'autrice con estrema misura e controllo, con un lirismo soffuso ovunque e rafforzato nel finale, nodo di un filo da ricamo.
Allieva riconosciuta di Cÿechov e di Maupassant, che nomina entrambi in queste pagine, Nina Berberova unisce la stringatezza della descrizione di tradizione realista alla formazione di poetessa, accanto al marito poeta Chodasevicÿ. "Quella più allegra aveva amici più allegri, ottimi vogatori e amanti delle polpette, che arrivavano senza cappello e con dei dischi sotto il braccio". Ecco un esempio di velocità descrittiva. Oppure la descrizione di una passeggiata sugli sci, che riassume in quattro righe un'intera epoca della vita: "Risalivamo dall'altra parte e, quando arrivavamo in cima, mangiavamo la cioccolata scura della cooperativa e fumavamo le nostre prime sigarette. Poi, tutte scarmigliate, con le guance rosse, inebriate dal fumo e dall'aria, tornavamo a casa di volata".
Una vita all'insegna della perdita, come fu anche quella della Berberova, che lasciò la Russia nel 1922, condusse a lungo una vita nomade a fianco di Chodasevicÿ, visse molti anni a Parigi, si separò dal marito, si trasferì negli Stati Uniti nel 1950, dove insegnò letteratura russa, poteva essere riscattata solo dal successo, che conobbe in tarda età, dopo aver attraversato il globo e il secolo. "Quando mi annoio sento di essere vinto dal tempo", dice il protagonista di "Poema in prosa". Per non annoiarsi e non perdersi, per combattere contro le implacabili lancette della sveglia, la Berberova dovette affilare, immaginiamo, la confidenza con se stessa, la fiducia, la forza dell'abbandono al monologo con la scrittura, al sicuro tiro e rimbalzo della parola sul foglio e dal foglio.
Il suo punto di vista, che possiamo dedurre dai tanti racconti brevi e lunghi, dalle biografie e le memorie pubblicate in questi anni, rovescia quello tradizionale secondo il quale l'artista è indifeso, inadatto ad affrontare la vita, e quindi privo dello spirito di autoconservazione che è invece prerogativa del non artista. Al contrario, per lei il talento, l'arte, l'ambizione, un egoismo operante sono l'unico riscatto possibile, l'unico modo che un perdente ha per vincere. Nel racconto lungo "L'accompagnatrice" (Feltrinelli, 1987; ed. orig. 1934) resiste la cantante, e soccombono i non artisti. Allo stesso modo, nel romanzo "Storia della baronessa Budberg" (Adelphi, 1993; ed. orig. 1981), in russo intitolato "La donna di ferro", troneggia la figura femminile della protagonista avventuriera, che fu amante di Gor'kij e di Wells, e nella bella autobiografia considerata il suo capolavoro, "Il corsivo è mio" (Adelphi, 1989; ed. orig. 1972), trionfa lei stessa. La Berberova sembra aver consolidato negli anni una sua legge personale, istintiva e mirata allo stesso tempo, simile a quella che regna fra gli animali, fondata sulla selezione naturale della specie. Probabilmente la consuetudine della Berberova a luoghi e mestieri ogni volta diversi dovette pian piano mutarle la pelle, trasformarla in un animale sempre nuovo e sempre più resistente, impermeabile.

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Conosci l'autore

Nina Berberova

1901, Pietroburgo

Nina Berberova (1901-1993), scrittrice russa naturalizzata statunitense, è autrice di romanzi, saggi e poesie. Nata a San Pietroburgo, frequentò in gioventù il gruppo degli acmeisti, traendone quel gusto per la chiarezza e la precisione che attraversa tante sue opere, dalle biografie (di Cajkovskij, Borodin, Blok) alle ricostruzioni storiche (Storia della baronessa Budberg, 1980), all’autobiografia Il corsivo è mio (1972). Lasciò la Russia sovietica nel 1922, con il poeta Vladislav Chodasevic; visse a lungo a Parigi ma nel 1950 emigrò negli Stati Uniti, dove insegnò a Yale e a Princeton. Agli anni Ottanta risale la «scoperta» della sua narrativa, che raffigura con limpidezza la condizione esistenziale degli émigrés...

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