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L'idea che sviluppa questo racconto è geniale: la trovata del messaggio in bottiglia aumenta il termometro dell'urgenza e dell'aspettativa garantendo un rintocco funebre a tutta la vicenda. Purtroppo, questa trovata, nel procedere della narrazione, sembra sfuggire al nucleo più segreto della storia, come se percorressero due strade diverse. Ma non fosse altro che per immergersi in una inedita variante della letteratura ebraica, un gioiello che merita di catturare l'attenzione del lettore più attento. Mi ricorda, per certi versi, il meraviglioso film di Polanski, "Il pianista", soprattutto la seconda parte. Notevole.
"In una delle rovine del ghetto di Varsavia, tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane, sigillato con cura in una piccola bottiglia, fu trovato il seguente testamento, scritto da un ebreo di nome Yossl Rakover nelle ultime ore del ghetto." L'autore di questo brevissimo testo, pubblicato nel 1946, è Zvi Kolitz, ebreo lituano la cui famiglia fu sterminata. Il libro è l'ultimo messaggio scritto da un combattente del ghetto polacco, mentre la morte sta incombendo. Il personaggio chiama in causa Dio e il suo silenzio di fronte al trionfo dell'orrore. Così l'intensa e dura invettiva contro Dio diventa simbolo e sorta di eredità di chi si rivolta contro il male e l'ingiustizia. "Le belve della foresta mi sembrano così amabili e care che è per me un profondo dolore sentire paragonare a belve gli scellerati che dominano l'Europa. Non è vero che Hitler ha in sé qualcosa di bestiale, è un tipico figlio dell'umanità moderna, ne sono profondamente convinto. È stata l'intera umanità a generarlo e a crescerlo, ed egli è il più sincero interprete dei suoi intimi e segreti desideri."
Dio d’Israele, sono fuggito qui per poterTi servire indisturbato, per obbedire ai Tuoi comandamenti e santificare il Tuo nome. Tu però fai di tutto perché io non creda in Te. Ma se con queste prove pensi di riuscire ad allontanarmi dalla giusta via, Ti avverto, Dio mio e dei miei padri, che non Ti servirà a nulla. Mi puoi offendere, mi puoi colpire, mi puoi togliere ciò che di più prezioso e caro posseggo al mondo, mi puoi torturare a morte, io crederò sempre in Te. Sempre Ti amerò, sempre, sfidando la Tua stessa volontà!
Recensioni
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recensione di Cases, C., L'Indice 1998, n. 1
La scelta non si presenta per la prima volta. Mi ricordo della mia sgridata a Primo Levi quando vidi il film di Pontecorvo "Kapò" di cui aveva consentito a fare il consulente. Ero un seguace di Adorno e credevo che dopo Auschwitz non si potessero più scrivere poesie e meno che mai che si dovessero trasformare le esperienze del lager in quella che avevamo appreso a chiamare industria culturale. Da allora ci siamo lentamente abituati a quello che paventavamo e che ha assunto enormi proporzioni, sicché siamo diventati, se non più indulgenti, più rassegnati a trovare il buono se non in "Holocaust" per lo meno in "Schindler's List", il cui autore era un noto maestro di "effetti speciali" per il quale Eichmann era la stessa cosa di un tirannosauro. A poco a poco non ci ricordiamo più di vivere in una cybersfera in cui è impossibile distinguere reale e immaginario.
Oppure no, è possibile? Quando indussi gli amici dell'"Indice" a proclamare "Libro del mese" (1994, n. 4) l'eccellente racconto di Simhah Guterman sulla cacciata degli ebrei da Pl/ozk, ritrovato in bottiglie sigillate a Radom in Polonia e pubblicato da Einaudi con il titolo "Il racconto ritrovato", confesso che avevo qualche perplessità. Le circostanze del ritrovamento mi parevano troppo romanzesche (a Radom si doveva demolire una casa e fissate a una scala apparvero le bottiglie con centinaia di striscioline di carta scritte in yiddish, sicché non erano comprensibili neanche al figlio di Guterman che nel frattempo era andato in Israele). Ce n'era abbastanza perché qualche revisionista malvagio e scempio sospettasse una falsificazione. Invece il revisionista non si trovò e nessuno mise in dubbio l'autenticità del libro.
Qui abbiamo a che fare con un caso in qualche modo inverso. Yossi, "figlio di Dovid Rakover di Tarnopol, discepolo del rebbe di Ger e discendente dei giusti, dotti e santi delle famiglie Rakover e Meisls" non è mai esistito, è un prodotto della fantasia di Zwi Kolitz, ebreo lituano che per sua fortuna era partito dalla cittadina di Alytus per Israele insieme a quasi tutta la sua famiglia poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Gli ebrei lituani, i "litvak", hanno avuto uno strano destino: vissuti per settecento anni accanto agli autoctoni senza la minima frizione, preservati dall'irrigidimento teologico dal grande rabbino illuminista, il "gaon* di Vilna, furono massacrati da un improvviso risveglio di antisemitismo prima ancora che arrivassero i carnefici delle SS (un processo che non è stato ancora ben spiegato nel suo meccanismo psicologico). Ma quando questo accadde Kolitz era al sicuro in Palestina (come allora si diceva) a Gerusalemme, apparteneva al movimento sionista di destra di Jabotinskij (che ebbe rapporti anche con Mussolini), poi appartenne al gruppo terroristico Irgun come agente segreto e a un certo momento fu spedito a Buenos Aires. Qui ebbe le prime notizie sicure sullo sterminio degli ebrei e scrisse il falso testamento di Yossi Rakover, supposto resistente del ghetto di Varsavia.
In che lingua lo scrisse? Probabilmente in yiddish (lingua in cui è riportato il titolo originario) perché apparve la prima volta nella "Jiddische Zeitung" di Buenos Aires. Ma poi fu tradotto in varie lingue, anche senza il nome dell'autore, fino all'edizione tedesca su cui sembra esemplata questa italiana a cura di Paul Badde. Costui, innamoratosi del testo, non ha avuto pace finché non ne ha ricostruito tutta la storia e non si è trovato di fronte all'autore, Zwi Kolitz, in carne e ossa. Il quale non aveva mai rinnegato la paternità dell'operetta, lasciando che raggiungesse da sola la gloria dell'anonimato. In tale veste l'aveva conosciuta un filosofo famoso, Emmanuel Lévinas, che ci ha scritto sopra un saggio riportato in appendice in versione italiana. Lévinas era troppo intelligente per non capire che si trattava di una "finzione letteraria", ma proprio questa finzione gli serviva per fare di Yossi Rakover il rappresentante di tutte le vittime ebraiche. Poiché, dice Lévinas, che cosa significa questa sofferenza degli innocenti? "Non testimonia forse di un mondo senza Dio...? La reazione più semplice, la più comune sarebbe una scelta di ateismo. E sarebbe anche la più giusta per tutti coloro ai quali un dio un po' elementare ha finora distribuito premi, inflitto sanzioni o perdonato errori". Il dio che affanna e suscita, che atterra e che consola, sarebbe dunque un dio "un po' elementare", da lasciare ai cristiani o agli ebrei cristianeggianti come Simone Weil, per cui Lévinas sembra nutrire una particolare avversione. Il vero Iddio è quello che torce il volto dall'uomo e lo lascia alla sua follia omicida. E il vero popolo eletto è quello che si compiace di essere massacrato, poiché i giusti sono sempre vittime.
Si coglie qui la vera ragione del successo di Yossi Rakover. Egli è l'incarnazione di quel masochismo ebraico che accetta la persecuzione come un destino naturale o addirittura voluto da Dio. All'orizzonte si profila la figura di Giobbe, sennonché Giobbe è un uomo singolo, non è una parte del genocidio. È questo che va rifiutato in blocco, così come lo rifiutava il sionista ateo Simhah Guterman o anche il terrorista religioso Zwi Kolitz. O come Primo Levi dichiarava che se fosse stato Dio avrebbe sputato a terra la preghiera di quell'ebreo che lo ringraziava perché non era stato selezionato per la morte. Ci vuole l'improntitudine di un filosofo come Lévinas o come Hans Jonas, autore della teoria per cui Dio sta evolvendo e presto sarà maturato abbastanza per essere buono, o ci vuole la parabola raccontata a Yossi Rakover dal suo "rebbe" dell'ebreo che fuggendo dalla Santa Inquisizione capita su un'isola deserta dove perde la moglie e il figlio e leva i pugni contro il Signore spiegandogli che può continuare a perseguitarlo finché vuole perché tanto lui non l'abbandonerà mai: ci vuole un atteggiamento di questo genere per confondere le piaghe di Giobbe con l'acido prussico e immaginare che Dio si diverta ogni tanto a far fuori il suo popolo con la tecnologia e la burocrazia. Eppure l'abitudine alla persecuzione è talmente inveterata che queste assurdità sono possibili e corrodono le migliori teste filosofiche. Se le cose stanno così, non si capisce perché i cristiani si diano tanto da fare per farsi perdonare i loro misfatti contro gli ebrei. Se la sono voluta loro, e non perché abbiano ammazzato Gesù, ma perché sono sempre pronti a espiare i delitti altrui.
Quanto a Zwi Kolitz, dopo aver lanciato nel mondo il messaggio del masochismo ebraico, sembra che stia benissimo a Long Island con la seconda moglie Mathilde. Ha vissuto molte vite "nei ruoli più diversi: come giornalista, scrittore, propagandista, oratore, regista cinematografico, uomo d'affari, agente segreto, produttore, insegnante, docente universitario e come geniale "fundraisender" per la causa d'Israele". Ha girato non so quanti film e scritto non so quanti libri, "tutti esauriti". A casa sua, su un cassettone c'è una foto "in una cornice d'argento che lo ritrae in Messico nei primi anni Cinquanta, vestito con un completo di lino bianco alla maniera di Carlos Gardel, il re del tango dalla leggendaria eleganza: un giovanotto sfacciatamente bello, l'aria da uomo di mondo, o da avventuriero". Così il Badde nella sua postfazione, lunga cinquanta pagine contro le neanche quindici del testo che introduce (e che stava tutto in una pagina di giornale), sia perché bisogna raggiungere un numero di pagine sufficienti per fare un libro, sia perché Kolitz è già tanto leggendario quanto il re del tango mentre Badde senza la lunga storia di come l'ha scoperto sarebbe un Carneade qualsiasi. Non a torto egli conclude, parlando di Kolitz e di sua moglie: "Considero la loro amicizia un dono del cielo". La casa editrice Adelphi è stata accusata di antisemitismo per aver pubblicato un famoso libretto di Léon Bloy. Come la mettiamo con questo che apparentemente non è antisemita, ma in realtà è peggio di Bloy? L'unico modo di redimersi è di pubblicare tutte le altre opere di Zwi Kolitz, sceneggiature comprese. Il "tutto esaurito" è assicurato.
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