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«Un medico, in base a una radiografia sospetta, mi annunciò che mi rimanevano al massimo due anni di vita e mi condannò a un’inattività quasi totale». Simenon non poteva però cessare di scrivere. Pensò a qualcosa di unico e di ultimo: raccontare la sua infanzia, in forma di lunga lettera al figlio. Poi quella lettera diventò Pedigree, il romanzo più personale e segreto di Simenon, ma anche quello dove ritroviamo la sostanza, in senso chimico, di tutti i suoi libri.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Uno dei più bei libri di Simenon. Straordinarie le descrizioni e le atmosfere della sua infanzia.
Uno dei miei libri del cuore di Simenon, di cui ho letto quasi tutto. Una sorte di "Recherche" in versione piccolo borghese. Se altrove sono le madeleines a riportare ai tempi che furono, qui pare di sentire l'odore della stufa e della neve per riportare a tempi che non sono nostri ma è come se lo fossero, grazie alle atmosfere che Simenon ci fa addirittura respirare.
Ho letto diversi libri di Georges Simenon,non 40 come Sergio ,ma circa una ventina.Questo l'ho iniziato, letto 200 pagine e non sono riuscita ad andare avanti. Mi dispiace. Non è il solito Simenon. Piatto, noioso. Simenon resta comunque il mio scrittore preferito.
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Paris, R., L'Indice 1987, n. 5
La differenza tra un testo narrativo autobiografico e uno dello stesso genere che pretenda all'invenzione, sta tutta nella somma dei particolari che vi compaiono. Quello autobiografico si presenta subito zeppo di indizi, fatti, aneddoti che spesso finiscono per appesantire la narrazione per inibire gli altri significati nascosti. Georges Simenon nella introduzione al suo romanzo "Pedigree", ci confessa di essere stato mosso da motivi privatissimi a ricostruire la sua prima infanzia e parte della sua adolescenza, vissute a Liegi sotto le ali protettive di una madre ambiguamente compassionevole. Minacciato da un male oscuro lo scrittore trentenne avrebbe voluto trasmettere a suo figlio i dati del suo pedigree famigliare, spinto da un bisogno di verità, di comunicazione, totali. Il risultato è di più di cinquecento pagine, raggiunto in due tappe, il 1941 e il 1943. Qui l'ipotesi di partenza, che i testi autobiografici sono più pesanti di quelli interamente creativi si incrina in diversi punti.
La storia della vita quotidiana di Mise e Désiré, una coppia di piccoli borghesi di Liegi che allevano il loro figlioletto Roger, passando da un affitto all'altro e subaffittando a loro volta a studenti russi e polacchi è certo in più punti trita, risaputa, monotona, ma Simenon alleggerisce la materia autobiografica con le ombre metaforiche di personaggi come Leopold, il fratello di Èlise, anarchico attivo, che vede la sua ombra negativa giganteggiare per tutto il romanzo. Andate a leggere l'episodio della studentessa russa prerivoluzionaria, che vive rinchiusa nella sua dostoevschiana camerette. La sua ombra vi colpirà di certo.
Gli anni di "Pedigree" sono quelli che vanno dagli inizi del novecento fino al diciotto. Èlise non è sempre un personaggio simpatico. Se è vero quello che Simenon ha raccontato a Giulio Nascimbeni in una intervista per il "Corriere della sera" e cioè che sua madre vera firmava il libro per le amiche con il nome e il cognome di Èlise Peters, i punti a suo vantaggio non aumentano certo. Per Èlise è volgare tutto ciò che viene dal mondo degli operai o che ha un prezzo esorbitante per le sue tasche. Schiacciata dalla borghesia e dal proletariato, la piccola borghesia, storicamente, è stata sempre il vaso di coccio di ogni lamento nevrotico, di ogni insicurezza di ruoli. Quante volte seguiamo la madre attraversare le stesse strade, sentire l'odore degli stessi bar, riflettere nevroticamente sulle stesse cose, preoccuparsi che tutto sia lindo nel suo appartamento. Eppure mi chiedo quale sarebbe stata la tecnica migliore, per rievocare quell'atmosfera cupa, gravida di minacce, di fantasmi di morte, dello sciopero generale dei minatori.
"Pedigree" a volte assomiglia a un romanzo storico, altrove a un romanzo di testimonianza, sempre comunque, a un romanzo di Simenon. C'è chi ha voluto vedere nel libro, almeno nel suo finale, l'intenzione di costruire il romanzo del giovane artista come figlio della massa. Certo la piega finale del libro, con Roger che non sopporta gli scrittori romantici e odia innanzitutto Gautier e la sua arte per l'arte, può anche suggerirlo. Roger diventerà commesso di libreria e verrà licenziato per aver insistito dinanzi al padrone a riconoscere il vero autore di un romanzo richiesto da un cliente. Secondo lui si trattava di un romanzo di Dumas padre, che amava alla follia, piuttosto che di un testo di Gautier. Raccontando delle sue letture popolari nelle biblioteche circolanti di Liegi, da Ohnet a Halévy, a Dumas, Simenon vuole avvertire il lettore che per lui la letteratura dei manuali è tutta da disprezzare come opera snobistica. Rispettando i gusti della madre piccolo borghese, immagina una letteratura n‚ troppo alta n‚ troppo bassa, cucinata per palati perbene, che vivono dello "stretto necessario" e non si possono permettere lussi eccessivi.
Simenon è scrittore di gialli. Chi è allora l'assassino in "Pedigree"? A libro chiuso, rispondo che è il Tempo e l'artista contro di lui ha solo una lunga trama di parole. Niente a che vedere con la recherche proustiana. Qui il Tempo cancella o vorrebbe cancellare persone e cose che invece la penna visiva di Simenon, rievoca e ricostruisce minuziosamente, senza spessori mentali come una successione materiale di luci di rumori di strade, di insegne, di una città di provincia che a poco a poco si anima di una vita che non è più storica, anche se indagata nel presente storico. A ben vedere è proprio il motorino della frase di Simenon breve e concisa, che tiene acceso "Pedigree" così a lungo, una frase che ricorda la musica jazz. I rumori della città si confondono con la musica dissonante delle stupide preoccupazioni piccolo borghesi di Èlise, viste qui espressionisticamente, dentro un quadro da bassifondi setacciati da una lente meticolosa, vera senza essere esatta, a volte vera e esatta insieme. Roger alla fine di "Pedigree" legge un libro al giorno, ha già fatto le sue scoperte sessuali le sue scelte intellettuali. Tutto Rocambole, i romanzi popolari innanzitutto, Sue, Dumas padre, Ohnet ecc. La letteratura popolare, a conti fatti gli servirà per emergere, per ubbidire ancora una volta ai dettami del super-io della madre. Come il personaggio di un romanzo famoso di London, Roger diventerà scrittore per amore, questa volta di sua madre e sempre per un tale amore sceglierà di diventare famoso come scrittore di gialli della letteratura della città, della gente di tutti i giorni di quella che non legge per diventare snob, ma che pure non sa stare senza leggere come gli emarginati.
Chiudo la recensione con un riferimento polemico. Va di moda il cosiddetto minimalismo americano in letteratura. Simenon è certo un re dei minimalisti, il massimo dei minimi. Altro che storie finte di finte angosce famigliari in "Pedigree", qui la famiglia è al centro di tutte le ramificazioni sia quelle politiche che quelle artistiche, pedigree assoluto; la vecchia Europa, ancora una volta, ha surclassato l'America. O no?
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