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Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 1994
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
una smilza raccolta di racconti che iniziano sottotono e poi diventano inquietanti.
Questo è il secondo libro di Fleur Jaeggy che leggo, e devo dire che è una scrittrice unica, che ti fa avere voglia di divorare tutto che abbia scritto. I racconti presenti in questo libro sono densi, caricati di un linguaggio in spirale, capace di portare personaggi in situazioni inaspettate, paurose. La paura del cielo è un grido per misericordia. Grande libro, grande Fleur.
Fleur Jaeggy non si smentisce, i suoi testi sanno catturare.
Recensioni
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scheda di Roat, F., L'Indice 1995, n. 6
scheda pubblicata per l'edizione del 1994
A un lustro dalla comparsa del romanzo "I beati anni del castigo", incentrato sull'esperienza di un'istituzione rigida e chiusa quale poteva essere un collegio femminile in Svizzera nell'immediato dopoguerra, la Jaeggy propone una serie di brevi narrativi, calati ancora una volta negli scenari claustrofili d'una Confederazione Elvetica sin troppo algida e piccolo-borghese. Sono storie di figli non amati, sposi che convivono col rancore fra ipocrisie, angosce implosive e paura, ancor più che del cielo, di come la fragile trama dell'autocontrollo possa essere infranta dallo scatenarsi della distruttività. I rituali del perbenismo, contro l'imprevedibilità e l'inquietudine del vivere, possono opporre solo la discrezione come finzione, agita per esorcizzare la consapevolezza di quanto sia "facile avere pensieri violenti". La Jaeggy narra gli orrori del disamore senza patetismi, con una scrittura essenziale, paratattica, dai periodi brevi, contrassegnati di un'icasticità spoglia d'orpelli. L'individuazione di personaggi e ambienti, spesso centrata e risolta nella gemma di una frase, mediante accostamenti all'insegna d'un ossimoro traslato, alluso, sintattico, o attraverso un fraseggio metaforico felicemente risolto, conferma il raggiungimento di una maturità espressiva che si nutre insieme d'aristocratica sprezzatura, schivo riserbo e della giusta dose di ironia non disgiunta da una sottile pietas per i dolori narrati - seppur da cogliersi fra le righe -, la quale, stemperando certe crudezze descrittive, fa de "La paura del cielo" un libro audacemente compassionevole e feroce.
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