Tre racconti

Tre magnifiche storie noir, di cui la prima "La muta", è un autentico capolavoro, stile magnifico come sempre da grandissimo letterato, atmosfera nerissima e inquietante all'ennesima potenza, la morbosità insita nella trama e i turbamenti lancinanti di quest'assassino mi hanno scosso nel profondo, come raramente mi accade. A volte la vera essenza del weird la si può trovare in racconti come questo, in cui è totalmente assente la componente fantastica, a differenza di tanti autori vecchi e nuovi divenuti meri mestieranti dell'inquietante. La grande letteratura fanno solo i grandi letterati, tutto il resto scivola inevitabilmente nell'oblio.

Il giorno in cui l'uomo avrà nelle mani le vere mappe del caso, quelle sadiche bizzarre e originali mappe con tutti gli scali precisi, i passaggi nascosti, i voli e le deviazioni scovate da questo strano enigmatico figuro, quel giorno sarà finita. Morirà l'invenzione, la letteratura, lo stupore, i singhiozzi su un verso ben pensato, l'imprevisto in bene e in male, forse la vita. Allora, quei pochi dalla memoria allenata, si ricorderanno dei libri di Landolfi, di queste segrete in cui la coscienza esplora e indaga se stessa o tenta di aprirsi a spiragli di svolta, o, ancora, a oscuri momenti indomabili, senza ritorno. Un viaggio nelle sue pagine è la definitiva vanità del capire le cose, lo specchio "delle nostre mille vite tese al compimento, e deluse", le mosse dell'impartecipe, del senza segno, di colui che non bussa e non avvisa, e che inverte direzione a tutto. Tre dardi acuti a sovvertire le leggi dell'animo, non saprei definirli altrimenti, tre larghe ferite nella carne del desiderio, dove il dentro si orienta e disorienta insieme, dove il rimorso torna ad acquietare ma anche dove la follia diventa un manubrio che va da solo. La straziante dolcezza de "La muta", racconto di insostenibile meraviglia, è già vertice di poesia assoluta, scavo mirabile dentro un cuore che sente e perde insieme ogni rotta del proprio io, picco autentico di poetica filosofica, senz'altro la prova che si è sempre al centro di una condanna decisa. Se non dal fuori dal nostro dentro. Non meno grandi gli altri due, dove una ludica sfida a carte (nel primo caso) e una rincorsa fa due diari alternati nel secondo tessono altre leggi e sempre le stesse; l'amore nei suoi eterni grovigli, la morte a camminargli accanto, e quel coro di indecisioni e paure che si infilano come stille malate nell'io dei protagonisti. Come si fa dunque a "cavarsi d'impaccio nelle sinistre congiunture della ragione?". Dandosi interi alla contraddizione. Forse solo allora ci si potrà dire pronti e...chissà...liberi.

Un lato sensuale e violento di Landolfi. Tre racconti, tre donne agognate, amate, odiate o appena sfiorate: un po' di tutto ciò. Agognate per la loro bellezza, purezza e innocenza, e odiate esponenzialmente per gli stessi motivi. Possesso o distruzione. L'imperativo assoluto è di possedere, ma "si può possedere l'oceano e il deserto?"; no, non si può, e allora è ossessione, talvolta fino alle estreme conseguenze e talvolta fino alla riguadagnata indifferenza. Landolfi non ti molla un secondo in questi tre brevi racconti fra lo sconcertante e l'esteticamente sublime: "E Rosanna? ... La prima parola che mi viene alle labbra o sulla penna è 'tangente': una linea che, venuta di lontano, avesse toccato questo cerchio chiuso in un sol punto, per un solo attimo, e fosse fuggita via per i secoli dei secoli. Sarà buffo paragonare una donna a una tangente, ma tant'è."