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Anno edizione: 1999
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"Mi preparavo a diventare Shakespeare. Il lager ha spezzato tutto” Così, con la brutale, icastica franchezza che contraddistingue ogni sua riga, Salamov dice del suo essere scrittore. Solzenicyn, osannato e premiato (e da Salamov non amato), lo ammise onestamente: "a lui e non a me è stato dato in sorte di toccare il fondo di abbrutimento e disperazione verso cui ci spingeva tutta l’esistenza quotidiana nei lager". Ma Solzenicyn, abbiamo l'impressione, quando scrive del Gulag scrive per "gli altri", per un pubblico e anche per i compagni senza voce; Salamov scrive per sè, basta a se stesso ("Per un racconto ho bisogno di silenzio assoluto, di una solitudine assoluta"). Scrive per ricordare, perché non vuole dimenticare. Le sue fotografie ci restituiscono il volto di un lupo, uno sguardo duro, una perenne smorfia di disdegno per il mondo, il volto del vero "sgobbone" di lager. I suoi Racconti non hanno la poesia un poco incantata di Solzenicyn, sono meno "letterari". Ma sono brutali, scritti col sangue, di una franchezza e freschezza che tolgono il fiato, che ti fanno fermare a metà della lettura per fissare il vuoto per qualche minuto. Scrittore ingiustamente semisconosciuto, Salamov è la vera "spina nella carne", il vero testimone del terrore staliniano. Ma la vittoria finale è sua: distrutto nel fisico dai lavori di miniera, ripudiato dalla famiglia, senza aver mai guadagnato un rublo come autore, avrà la soddisfazione di vivere i suoi ultimi anni a spese dell'URSS in una casa di riposo per scrittori anziani...
Assieme ad 'Arcipelago Gulag' di Solzenicyn questo libro costituisce un'indispensabile testimonianza di quello che è stato forse il più grande delitto commesso dall'essere umano contro i suoi simili. Una tragedia immane scandalosamente poco discussa e raccontata.
Un insieme di racconti che dimostrano come l'essere umano possa diventare la peggior specie presente in natura.
Recensioni
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In pagine brevi e incisive si snoda la vita quotidiana dei lager della Kolyma, desolata regione dei ghiacci all'estremo limite orientale della Siberia, che per Salamov si traduce in un paradigma esasperato della condizione umana, riscattata soltanto da una commossa ironia o dalla pietà.
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