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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2014
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È una diagnosi mirabile e senza illusioni di guarigione, quella che Faulkner scrive nel 1954 a proposito del martoriato tessuto sociale americano. Seppur giovanissima, con appena due secoli di vita, la repubblica ha perso, secondo il romanziere del Mississipi, quei principi di uguaglianza, libertà e responsabilità tanto cari ai padri fondatori, che hanno abbandonato le persecuzioni in madrepatria, convinti di costruire in America un santuario che basasse su di esse la propria vita civile. Come l'autore ha avuto modo di constatare sulla sua stessa pelle, e come lui molti altri personaggi più o meno illustri, il bisogno di sicurezza e di profitto hanno spinto la società americana a privare i suoi cittadini del diritto all'anonimato ed alla riservatezza per sezionarne ogni informazione personale vendendola al pubblico ludibrio. Tutto sotto la falsa egida della libertà di stampa. Un ritratto desolante e profetico di dissolutezza morale, oggi come allora pienamente accettata, a cui Faulkner coraggiosamente, e nel modo irriverente che gli è proprio, si oppone.
"Pamphlet micidiale" di William Faulkner, in cui lo scrittore americano esprime il suo dissenso nei riguardi della stampa, dei media e addirittura del cosiddetto "sogno americano". Il Sogno americano è andato perduto, l'uomo si è assopito e non l'ha protetto; l'individuo ha perso l'individualità che lo rendeva libero, la legge non tutela più la privacy dell'individuo stesso e la vita privata diventa una vera e propria merce. Un discorso molto lungimirante se si pensa che adesso nella società privata molti individui non cercano di tutelare la propria privacy ma, al contrario, la usano per avere più visibilità, per diventare qualcuno. Qualcuno, ma chi? Come si può diventare qualcuno se ci priviamo della nostra individualità?
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