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Anno edizione: 2003
Anno edizione: 2014
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Pubblicato per la prima volta in traduzione italiana dopo la morte di Sebald avvenuta nel 2001, ma già comparso in lingua originale nel 1990. Una delle prime opere di Sebald (pubblicata tra il 1990, data del semplice copyright di Sebald e il 1995, data di pubblicazione presso una casa editrice di lingua tedesca) che già contiene in sè perfettamente formato lo stile unico della sua scrittura. In questo volume Sebald propone al lettore (in realtà, non è il "lettore" l'interlocutore immaginario con cui Sebald dialoga, ma il suo alter-ego, un sè stesso in veste di ascoltatore) tre dei suoi pensosi viaggi in cui si intrecciano fittamente in un denso monologo interiore viaggio letterario, viaggio nella propria memoria autobiografica e viaggio effettivamente realizzato percorrendo le orme di un personaggio letterario. Il primo viaggio, Sebald lo sviluppa sulle tracce di un certo Beyle, entrato diciassettenne in Italia al seguito dell’Armata Napoleonica e successivamente impegnato in una storia amorosa di stile casanoviana che lo porta a muoversi in giro per l’Italia al seguito della dama di cui è invaghito (Beyle o lo strano fenomeno dell’amore). Il secondo viaggio (All’estero), Sebald lo compie, attraversando una serie di località italiane prevalentemente venete tra Venezia e Verona, in parte rievocando alcune delle vicissitudini di Casanova (la fuga dai Piombi, alcune sue precipitose fughe, la permanenza a Dux) con l’intercalare di strane coincidenze e “presagi” che riguardano lo stesso Sebald, inducendolo ad una continua e costante inquietudine. Il terzo viaggio è sulle tracce di Kafka, nel tentativo di ripercorrere puntualmente una permanenza del celebre scrittore presso le Terme di Riva (Il dottor K. in viaggio alle Terme di Riva). Il quarto viaggio, infine, è il resoconto di un percorso a piedi che Sebald compie, quasi un pellegrinaggio nel proprio stesso passato, per raggiungere un piccolo villaggio dell’Austria legato ai suoi ricordi d’infanzia (per l
Recensioni
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Fin dalla prima pagina riconosciamo il marchio di Winfried Georg Sebald, il grande scrittore tedesco recentemente scomparso: Vertigini (titolo originale: Schwindel. Gefühle ) si apre con una stampa d'epoca sulla discesa napoleonica del Gran San Bernardo e si presenta quindi subito, similmente ad Austerlitz , come un album in cui le immagini (fotografie, schizzi, disegni, riproduzioni di biglietti o di conti d'albergo ecc.), oltre a documentare i fatti, a volte sostituiscono le parole, a volte hanno la funzione di segni di punteggiatura. Si chiude con la discesa delle Alpi in direzione opposta, verso la Heimat bavarese dell'autore;cultura, in cui i protagonisti, Henry Beyle, un io narrante e il Dottor Kafka hanno numerosi appuntamenti legati da affinità e corrispondenze con figure del passato. Stilisticamente questa odissea nello spazio e nel tempo utilizza vari generi: sulla base del reportage e del racconto di viaggio si innestano saggio, autobiografia, biografia, invenzione.
Il leitmotiv che, ricorrendo ciclicamente, dà unità a questi che per comodità chiameremo racconti, è il cacciatore Gracco, protagonista di vari frammenti di Kafka, alla cui genesi Sebald dedica il terzo testo del libro. Un racconto sul racconto, per così dire. Nel 1913 Kafka, sullo sfondo del travagliato fidanzamento con Felice Bauer, va a Riva per un soggiorno in un sanatorio e lì si innamora di una giovane svizzera. Anche il cacciatore Gracco - che il nome già identifica come un alter ego di Kafka (in ceco Kafka significa taccola, un corvide come la cornacchia e, appunto, il gracchio) arriva in barca a Riva, viene portato a terra su una barella: è infatti morto - lui, cacciatore di lupi - cadendo durante la caccia a un camoscio. Ma è anche vivo e costretto a una perenne erranza. Qual è la malattia del cacciatore Gracco? È "un'infermità che può essere guarita solo a letto", è l'amore sia istituzionalizzato nel matrimonio sia episodico, fonte di orrore per Kafka, perché mina la sua esistenza artistica, dal quale però "è incapace di congedarsi". Con questo siamo al primo tema di questo libro, già presente nel racconto dedicato a Henry Beyle, alias Stendhal: "Che cosa porta al fallimento uno scrittore?".
Il secondo tema è il ricordo e la sua affidabilità. Riflettendo sul passato Henry Beyle non può far altro che constatare la discrepanza fra le immagini della memoria e la realtà e questo suscita in lui "un vertiginoso senso di confusione". C'è una garanzia di verità nel ricordo? O non è invece più vero che nella realtà i fatti si svolgono "sempre in un'altra maniera"?
La voragine che si apre fra realtà e ricordo coglie anche il narratore, che cerca di sottrarsene aggrappandosi alle parole e collezionando prove, oppure andando come nell'ultimo racconto alla ricerca dell'infanzia. Le figure del passato ricominciano a vivere ma non sappiamo più dire quali siano veramente vissute e quali siano allucinazioni della coscienza. La voce narrante è onirica, i suoi pensieri si muovono "in cerchi ora sempre più larghi ora sempre più stretti" che stabiliscono collegamenti tra piani temporali e spaziali lontani. Se in questo mosaico non si riconoscono più le singole tessere, il merito va alla scrittura fluida e suadente di Sebald, che insegue ogni curva del reale. Il tono è quello del narratore classico, nel primo racconto perfino kleistiano, cui fa pendant un lessico accurato, dal sapore quasi ottocentesco.
Resta da chiedersi che cosa rimane dello sforzo di salvare il presente o di portare in superficie tracce sommerse del passato attraverso la parola o l'immagine: questi documenti non sottolineano piuttosto, come i reperti archeologici o ancor più le reliquie, la vanità del tutto? W.G. Sebald lo sa bene. Ponendo in epigrafe all'ultima pagina, quasi una pietra tombale, la data 2013, l'autore recita infatti uno struggente, malinconico memento mori .
Carla Tabaglio
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