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Denso e di difficile lettura. Non ho capito quale tipo di motivazione potrebbe giustificare il fatto che gran parte delle citazioni in lingua originale in questo libro non sia tradotta. A Sgalambro piace citare continuamente in tedesco, in francese, in latino... Ma non sempre traduce ciò che cita. E questo è parecchio fastidioso, soprattutto per quanto riguarda il latino che io, pur avendo studiato, francamente non riesco a tradurmi da solo. Peraltro non mi pareva nemmeno Sgalambro conoscesse il francese, quindi perché citare in francese? O, quantomeno: perché non tradurre? Comunque da rileggere. Mi aspettavo decisamente un prodotto più dozzinale e pseudofilosofico, pensando alla fama di Sgalambro come scrittore di testi di Battiato... Invece si tratta di una figura coltissima che non fa mai riflessioni banali. Soltanto, il libro non è di facile lettura.
Gli urti contro gli spigoli di una grande singolarità servono solo a migliorare chi li subisce. Allargano le gabbie della mente fino a diventare stupore nutrito, ampiezza visionaria, scritto e lettura non più scindibili fra chi narra e chi segue, ma un solo verbo di nuova mescolanza, privilegio e gioia. Ebbi l'onore di incontrare Sgalambro una sola volta, ma bastò per venti quando gli misi in mano quattro suoi libri dicendogli: "Maestro, scriva ciò che le pare". Quelle dediche sono il cuore di questa recensione, suo proprio genio e mia umile gratitudine. Tutte seguite dalla sua firma eccole qui. La prima: "C'è anche il caso". La seconda: "Mediti l'indifferenza". La terza: "Grazie, non so di cosa ma Grazie". La quarta: "Manlio Sgalambro". Il sorriso che seguì quando me li rese non è facile da racchiudere con degna riconoscenza in un periodo, qui, su questo schermo; appartiene agli occhi della memoria, quella di un uomo dal rude ghigno da cowboy nel viso e insieme una dolcezza da poeta ferito che foderava ogni linea del suo sguardo. I resti di quella stretta di mano, vigorosa e sicura, cercano per come mi è consentito di essere qui adesso, dal mio cielo inferiore verso il suo astro inviolabile. Aveva ben ragione, e lo dice qui, in questo testo magnifico, a scrivere che "la filosofia deve essere sottratta alle università e restituita al genio", perché nel genio lo scricchiolio è l'avviso a perseverare, è il suono del giusto percorso, saggio nel toccare in ogni istante la grandezza della caduta e insieme umano nel plasmare quest'ultima oltre il vezzoso artificio di un astratto insensato. Il "Dialogo sul comunismo" ci ferma in pagine di perfezione, col suo grido ad attaccarlo nelle disparità metafisiche piuttosto che in quelle reali, di povertà o disgrazia. Perché è una morale, non una politica: "E' l'unico ethos possibile per contemporanei della fine del mondo". Caro Maestro Sgalambro, lei sapeva fin troppo bene d'essere un disperato e stupendo poeta.
Grande Manlio ! Anche stavolta il filosofo di Lentini ha fatto centro. Le idee sono sempre le stesse, ma il loro articolarsi sempre nuovo e sorpendente. Ancora una volta un grande affresco in cui compare, come Soggetto Assoluto, il Mondo, ossia ciò dentro cui l'individuo è imprigionato con il suo destino di morte. Wir krepieren ! - afferma sprezzantemente il filosofo. Bisogna tener presente questa inoppugnabile verità, sentirne il peso ("Dio è peso" scriveva d'altra parte Sgalambro nel Dialogo teologico), sentire la vita che esegue, lenta e inesorabile, il suo piano di distruzione. Il fruscio del Mondo affiora nella musica, a patto che ci si liberi però dall'ascolto. A patto che ci si renda capaci di sentire nella musica l'eco dell'agonia del cosmo. La musica anticipa la morte. Cioè la vita.
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