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Anno edizione: 2005
Anno edizione: 2014
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Se tutte le emozioni del cosmo si ibernassero e una nuova glaciazione colpisse il mondo, andrei vagando per il mondo alla ricerca di questo libro soltanto per ricostruire il profilo della mia sensibilità.
[Estrato dal Blog] [...] Romanzo di carattere autobiografico, descrive la fine della II Guerra Mondiale e il passaggio dall’occupazione nazista a quella comunista in Ungheria, tra il 1945 e il 1947.Racconta le atrocità della guerra descrivendocele come se fossero una sorta di fermo-immagine di una pellicola rovinata dal tempo, fotogrammi di distruzione e miseria a cui ha assistito, avvolti dalla nebbia dei ricordi.[...] suo punto di vista è quello di uno scrittore di origini borghesi che, a differenza della maggior parte dei suoi connazionali, non vede nell’avanzata dei soldati russi che giungono a liberarli la panacea dei loro mali;[...]In lui predomina, invece, un presentimento di sventura. Quei soldati non porteranno libertà al suo popolo, ma ancora una volta una sottomissione ad uno straniero che stravolgerà l’identità storica del suo popolo.[...]inizialmente resiste in un Paese, dissanguato, atterrito, sul quale il processo di sovietizzazione stende una ragnatela che si fa «ogni giorno più fitta e appiccicosa», non vuole fuggire in un altro luogo, vuole scrivere nella lingua materna. Nel settembre del 1948, però, quando gli viene tolta la libertà prende una decisione, quella di allontanarsi[...]un romanzo toccante, pregno di elaborati concetti filosofici, con un linguaggio forbito e accattivante ed una prosa elegante e esperta, costellata di frasi lasciate in sospeso che, solitamente disturbano la mia lettura, mentre in questo caso dietro quei puntini di sospensione (che l’autore utilizza già nel titolo del romanzo) sono riuscita ad intuire i tanti “non detto” che l’autore ha voluto lasciarci; una narrazione che spesso si dilata in intense digressioni autobiografiche e letterarie. Molti, infatti sono gli spunti per approfondire letture di autori che, personalmente conosco poco o affatto. Decisamente un romanzo da leggere e da rileggere, uno di quelli che lascia il segno[...]
Bellissimo libro, spunto per mille riflessioni. Marai è sicuramente una delle voci letterarie più importanti del '900. Ci ha lasciato tantissimo. Mi chiedo come mai non gli sia stato conferito il premio Nobel. Mi chiedo anche perchè lo abbiano invece conferito a Dario Fo. Cosa ci ha lasciato (o lascierà). Mah!
Recensioni
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Nel 1969, dopo vent'anni di esilio, Márai decide di sfogliare "quell'album di immagini morte" che si porta dentro e di raccontare gli anni atroci del dopoguerra. In un montaggio implacabile e sontuoso ci fa sfilare quelle immagini davanti agli occhi: dall'apparizione fantasmagorica dei russi sulla sponda del Danubio alle rovine di Budapest, dove lui torna a cercare "quel che è rimasto della vecchia vita" e trova la sua casa ridotta a un cumulo di macerie. E poi il faticoso ritorno a un'apparenza di normalità in una città dove tutti odiano tutti. E ancora il tentativo, nell'aprile del '46, di ritrovare quell'Europa tanto amata e idealizzata che ora gli appare "sterile, dal vago odore di cadavere, come immersa nella formalina". E di nuovo il desiderio di scrivere nella lingua materna, che lo spinge a tornare in un paese mutilato, dissanguato, atterrito, sul quale il feroce processo di bolscevizzazione stende "una ragnatela fitta e appiccicosa". Infine, dopo un anno e mezzo, nel settembre del 1948, quando gli è stata ormai tolta la libertà di scrivere e, soprattutto, la libertà di tacere, la decisione di andare via, o meglio: di "andare verso qualcosa". A spingerlo è "la nostalgia della Terra".
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