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Nel 1862, quattordici anni dopo la morte di Chateaubriand, Sainte-Beuve, il più autorevole critico del tempo, pubblicò un inedito dello scrittore, che intitolò Confessione delirante. Si trattava di un manoscritto che l'autore avrebbe voluto distruggere; i quattordici fogli, rubati da un copista e da lui rivenduti, erano approdati nel 1852 alla Bibliothèque Nationale e di lì nelle mani di Sainte-Beuve, da sempre curiosissimo di tutti i retroscena della vita di Chateaubriand, della cui opera autobiografica aveva per primo messo in dubbio pubblicamente la veridicità. È proprio quella Confessione il testo che leggiamo in questo libretto: ma si tratta davvero di una confessione? Di una pagina così la definiva ancora Sainte-Beuve "strappata dalle memorie d'oltretomba"? La voce che racconta, in prima persona, è quella di un uomo ormai vecchio, che si trova di fronte all'offerta d'amore di una donna giovanissima. Tentato, straziato da un desiderio tanto violento quanto impossibile, finisce per respingerla: "Se mi dirai che mi ami come si ama un padre, inorridirò; se sosterrai di amarmi come un'amante, non ti crederò. In ogni uomo giovane vedrò un rivale che mi sarà preferito. Sai che basterebbe un certo tuo sorriso a mostrarmi la profondità dei miei mali come un raggio di sole che illumini un abisso?". Siamo davvero sul terreno dell'autobiografia (non mancarono, tra le ammiratrici dello scrittore ormai maturo, le fanciulle affascinanti), oppure Chateaubriand dà voce in queste pagine a un René invecchiato, resuscitando l'eroe del suo fortunato romanzo giovanile? Su questo si interroga Fumaroli nel bel saggio che chiude il volume, sottolineando anche il carattere peculiare del cristianesimo di Chateaubriand, fondato a suo parere su un'antiascetica "comunione dei peccatori". Mariolina Bertini
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