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Io mi chiedo sempre: è esistito mai Nabokov? A questa domanda non oso neanche rispondermi perché non riesco nella capacità mentale di pensare che sì, è esistito ed ha fatto lo scrittore. Nella letteratura ci sono scrittori mediocri, bravi, bravissimi e i genii e poi c'è Nabokov che è qualcosa a parte e lo dimostra anche in questa raccolta di racconti che copre l'arco del periodo Russo fino all'ultimo periodo Americano. Molti racconti sono di una purezza e perfezione ineguagliabile che solo i prescelti (pochissimi) sanno decifrare. Lo consiglio a tutti gli amanti della buona letteratura e soprattutto a chi non conosce Nabokov o lo conosceva soltanto per Lolita. Leggetelo e amate.
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Com'è diversa dalla maliziosa Lolita la sua coetanea Nataa, con la camicetta bianca e la gonna beige costellata di bottoni su un fianco, mentre entra ed esce svolazzando dalla camera del padre malato, veglia sui suoi incubi notturni, corre in farmacia. Ma quanta voglia di evasione, abbandonandosi ai racconti esotici di Vol'f, quanta voglia di felicità nel suo sorriso malinconico. Nataa, con ogni probabilità il primo racconto scritto da Vladimir Nabokov, è pubblicato in esclusiva mondiale tradotto dal figlio Dmitri nel volume Una bellezza russa e altri racconti con cui Adelphi completa il progetto editoriale di proporre in italiano tutte le stories dell'autore.
Si tratta di cinquantacinque racconti di cui dieci scritti in inglese, uno scritto in francese, a Parigi, da cui Nabokov transitò diretto in America, e i rimanenti in russo, tra il 1920 e il 1940 a Berlino, che in quegli anni era diventata la capitale della diaspora russa. Sono racconti "scritti a matita", per se stesso, per sua moglie, per una mezza dozzina di "cari amici defunti e ridacchianti", senza "uno scopo", che trovavano spazio in quotidiani émigrés come "Rul'" a Berlino o "Poslednie novosti" a Parigi, grazie a cui Nabokov arrotondava le proprie modeste entrate di precettore e maestro di tennis.
L'ambiente è tipico dell'emigrazione berlinese: alberghi, ristoranti, piccoli appartamenti in affitto, treni notturni, caffè deserti su cui immancabilmente scende il buio, mentre già "le sedie sbadigliano e vengono messe a dormire sui tavoli". I personaggi sono flâneurs straordinariamente ricettivi, solitari, che si circondano di oggetti chiamati a raccolta dal tempo e dallo spazio: libri squinternati, ninnoli, barattolini di vetro, spessi album su cui incollano di tutto, "dai ritagli dei propri versi fino a un biglietto del tram, russo". Non amano parlare della patria perduta, "così come persone ricche ma finite in rovina nascondono la loro miseria e diventano ancora più altere e inavvicinabili". È una cerchia di persone "totalmente irreali", separate dal mondo da una lastra di vetro, consapevoli di appartenere a una razza speciale di sognatori, come l'entomologo protagonista di L'aureliano, uno dei racconti più belli della raccolta: covano dentro di sé progetti che in gioventù potevano apparire deliziosamente eccitanti, ma che con il passare del tempo si trasformano in ossessioni cupe e iraconde. Formano una popolazione di espatriati, di eccentrici sradicati, il cui comportamento risente della natura provvisoria della loro cittadinanza: Aleksej L'vovič Luin (cognome che ritroveremo in un altro futuro personaggio nabokoviano), cameriere nella carrozza ristorante di un treno tedesco, prende cocaina, non vede l'amata moglie da cinque anni e si suicida proprio sul treno su cui lei sta viaggiando; Lavrentij Ivanovič Kruevnicyn, Lik, gira la Francia con una compagnia teatrale in cui interpreta la parte di un russo in una commedia francese, è il prototipo dell'artista esiliato, condannato a vivere ai margini della vita.
Molti sognano di viaggiare, pur non abbandonando i sobborghi di Berlino, e costruiscono simbolici ponti immaginari fra la loro esistenza desolata e la visione della perfetta felicità. Una felicità commovente, lanciata come sfida nella Lettera che non raggiunse mai la Russia: "Mentre vago per le strade e le piazze e i sentieri accanto al canale, avvertendo distrattamente le labbra umide della stagione attraverso le suole consumate, porto con orgoglio la mia ineffabile felicità. I secoli trascorreranno e gli scolari sbadiglieranno sulla storia dei nostri sconvolgimenti; tutto passerà, ma la mia felicità, cara, la mia felicità rimarrà nel madido riflesso di un lampione, nel cauto svoltare dei gradini di pietra che scendono fin dentro le acque nere del canale, nei sorrisi di una coppia danzante, in tutto quello con cui Dio avvolge con tanta generosità la solitudine umana".
La felicità è un tema che, in modo sorprendente, ricorre spesso nei racconti. "Sto così bene", pensa Nataa e ride nel cuscino, mentre nella testa i pensieri sono come tiepide scintille che si spargono soavi all'intorno. Nel racconto In balia del caso la vecchia principessa Uchtomskij sa che "delle cose allegre si può parlare solo in modo allegro, senza crucciarsi perché non ci sono più". Il protagonista di Dettagli di un tramonto dice a se stesso: "Come sono felice, come tutto intorno a me esalta la mia felicità", mentre quello di Il temporale "si addormenta esausto per la felicità della giornata". Vasilij Ivanovič di Reclutamento, vecchio e malato, abituato ormai a un vuoto plasmato a sua immagine, si domanda da dove venga questa felicità, "questa onda lunga di felicità che trasforma all'istante l'anima in qualche cosa di immenso, trasparente e prezioso". Sorprendente è il fatto che venga da uno scrittore che ha recentemente perduto la patria, la propria fortuna e il padre, ucciso a Berlino quando Vladimir aveva ventidue anni. Ritroviamo la stessa percezione di felicità nei racconti degli anni successivi: il narratore di Ultima Thule, un frammento dell'ultima novella scritta in russo da Nabokov, rivela a un amico che "nei momenti di felicità, di estasi, quando la mia anima è nuda, sento improvvisamente che non ci si estingue al di là della tomba". Il fascino di un possibile "aldilà", la paura della morte, conseguenza dell'"instabilità della classe sociale" cui appartengono i personaggi, si intrecciano con la precisa anatomia del momento in cui la vita diventa morte. Quando Nina, la protagonista di Primavera a Fial'ta che ricorda la cechoviana dama con il cagnolino, si schianta con la sua auto gialla contro il camion di un circo itinerante, capiamo perché il pezzetto di carta argentata aveva luccicato in quel modo sul selciato, perché il bagliore di un vetro aveva tremato sulla tovaglia, perché il mare era tutto un luccichio: "Gradualmente, impercettibilmente, il bianco cielo sopra Fial'ta si era impregnato di sole, ne era tutto pervaso, e il bianco fulgore traboccante si dissolveva sempre più".
Ogni racconto è una vertiginosa speculazione metafisica e una piccola storia poetica che si addentra nel labirinto dei ricordi, nutrita di riferimenti alla cultura letteraria russa. È sufficiente una fugace visione, una sensazione, un suono, il delicato, effimero chiaroscuro degli oggetti più insignificanti, le pietre sull'arenile, le more di un polveroso cespuglio, per far rivivere il passato, in una fusione di sogno e memoria. Memorabile resta l'immagine di Colette, il Primo amore di Nabokov, nato a Biarritz: i due si rivedranno a Parigi, alla fine delle vacanze, in un parco fulvo, sotto un freddo cielo azzurrino, che si dissolve in uno sbuffo di iridescenza simile alla "spirale arcobaleno di una biglia di vetro". Nadia Caprioglio
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