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Il curatore ha fatto un lavoro esemplare: ha raccolto una parte della produzione marginale di un gigante della letteratura e l'ha presentata in modo accattivante e al contempo con un apparato critico filologico approfondito. In questo modo, attraverso una lettura breve e agile, ha offerto una visione diversa, meno convenzionale, rispetto al Petrarca del Canzoniere.
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Un volo di gabbiani (Möwen) ispirò nel 1930 a Walter Benjamin, in viaggio su un vapore da duemila tonnellate nel mare del Nord, una breve prosa allegorica (oggi nella raccolta Denkbilder) che ha attirato l'attenzione di grandi critici come Peter Szondi e Harald Weinrich. Sullo sfondo di nere nubi minacciose (evidente preannuncio dell'arrivo del nazismo), un grande stormo di gabbiani si divideva in due schiere, l'una diretta a oriente l'altra a occidente, a rappresentare il diverso destino dei popoli d'Europa e le scelte politico-ideologiche che li attendevano.
Molti secoli prima, durante un viaggio nel mare Tirreno, un altro stormo di uccelli (pulchrae aves), quasi sicuramente gabbiani, ispirò a Francesco Petrarca un epigramma latino breve, succoso, anch'esso allegorico, scritto sotto forma di dialogo probabilmente con un musico amico e compagno di viaggio: il fiammingo Ludovico di Beringen. Si tratta questa volta di un'allegoria non di significato politico (per quanto non ne manchino fra gli epigrammi di Petrarca, anche in questa raccoltina), bensì amoroso (vien subito da pensare all'Allegory of Love di C. S. Lewis). Ispirandosi alla tradizione poetica delle metamorfosi, Ludovico e la sua amata Francesca, spinti dal desiderio amoroso, potrebbero trasformarsi l'uno nell'altra e tutte e due librarsi in volo come gabbiani sul mare della vita. La stessa cosa vorrebbe poter fare Petrarca con la sua Laura, realizzando così uno scambio amoroso, che sembra basarsi qui su una concretezza e una convergenza di desideri erotici molto più esplicite di quanto non avvenga normalmente nel Canzoniere.
Questa, almeno, è la lettura che dell'epigramma dà Francisco Rico, l'autorevole specialista spagnolo di Petrarca, il quale ha inserito questo e altri epigrammi latini del grande aretino in una elegante plaquette della "Biblioteca minima" di Adelphi, accompagnandoli con precise traduzioni italiane affidate a dodici "grandi studiose ed eccellenti amiche", e con note di commento, una premessa e una nota filologico-critica conclusiva. La lettura che così viene offerta di queste poesie occasionali di Petrarca, a suo tempo pubblicate da Konrad Burdach, è sorretta da una profonda conoscenza filologica e critica dell'opera petrarchesca, ma anche da un gusto interpretativo spesso originale, talvolta risentito e polemico contro altre interpretazioni. Dell'affidabilità e autorevolezza filologica del curatore dà prova l'erudito scambio di opinioni, proprio su uno di questi epigrammi, da Rico intitolato Canti di gallo, con un'altra esperta studiosa: Monica Berté. Per lei si tratta di due diversi epigrammi; per Rico, come per la tradizione, di un unico epigramma che mette a confronto, argutamente, nei primi due versi la reazione di Petrarca alla notizia della sconfitta di Philippe de Valois a Crécy (il superbo re francese sarebbe finito in trappola e, sconfitto, sarebbe fuggito ignominiosamente) e negli altri due versi l'invio in dono all'amico vescovo di Cavaillon di un prelibato arrosto (una lepre o un coniglio, finito a sua volta nella trappola dei cacciatori). Nella traduzione di Monica Berté l'epigramma suona così: "A parole e nell'aspetto superbo, il re gallo era vincitore: / ora fugge a nascondersi, vinto in guerra acerba. / Ti mando l'abitatore inesperto della fonte aprica, caduto nell'insidia: / non sprezzare il dono esiguo di un amico". (La discussione filologica fra Rico e Berté, studiosi legati da amicizia e collaborazione ma con opinioni diverse, è documentata nel saggio firmato da entrambi: Tre o quattro epigrammi di Petrarca, in "Studi medievali e umanistici", estratto anticipato 2008).
Quanto all'interpretazione critica, essa riprende idee altre volte espresse da Rico, e anche di recente ribadite in un saggio su Laura e altre amicizie femminili di Petrarca, pubblicato in "Quaderni di Acme" (2007, n. 96), che discute anche l'epigramma latino sui gabbiani. L'idea principale è che Petrarca abbia dato il meglio di sé, toccando corde più intime e autentiche, nei componimenti brevi, estravaganti, dispersi: i fragmenta, le minutiae, la lyra minima. Enrico Carrara li chiamava con metafora musicale gli "improvvisi" di Petrarca. A confronto con le opere più ampie e ambiziose, il grande poema l'Africa, il Bucolicum Carmen, le Epistolae, gli epigrammi e le altre poesie brevi e occasionali, in latino o in volgare, sono secondo Rico molto più interessanti ed efficaci. "Frequentemente tali operine si lasciano mettere a confronto senza timore con le Epistolae che girano intorno agli stessi motivi, superandole anche, perché ciò che qui si trascina con fatica, si formula lì con efficace nudità". Anche nel vasto epistolario petrarchesco Rico preferisce i testi occasionali, nati da un'impressione precisa e limitata. E perfino rispetto ai testi accolti nel Canzoniere, egli tende a preferire le rime disperse, rimaste fuori dalla grande costruzione. Quella di Petrarca, egli sostiene, era "un'ispirazione fondamentalmente lirica, che si muoveva più comodamente nelle unità minori, nei fragmenta".
È questa convinzione che lo ha spinto a pubblicare, con infinita cura, i brevi componimenti accolti nell'elegante libretto di Adelphi. Remo Ceserani
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