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Anno edizione: 2008
Anno edizione: 2023
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Una delle opere migliori di Walser. Per chi già lo conosce, c'è un po' tutto il Walser "classico", ma in una forma dissociata, lui narratore di un alter-ego con il quale ha parecchio in comune, alle prese, soprattutto, con le donne. Ne viene fuori un ritratto strano, del Brigante-Walser, quasi che fosse l'ultima incarnazione di un cavaliere devoto alla sua donna angelicata. Nonostante il tono svagato ed episodico, saltellante, a volte vertiginoso, la lingua è più raffinata del solito e a volte tocca vette di perfezione - per quel che si puo' capire dalla traduzione - e persino di autentico lirismo, mentre altrove diventa colloquiale, senza però mai cadere nel banale. Se c'è anche solo una parte di verità, di vita vissuta, nella storia del Brigante, allora Walser stesso durante la sua vita deve aver fatto ammattire un certo numero di donne, che non seppero mai come prenderlo, soprattutto perchè lui faceva di tutto per non farsi prendere (nonostante la altrove spesso reiterata volontà di "servire").
Recensioni
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Sono ormai numerose le edizioni italiane di opere di Walser: accanto alle raccolte di prose brevi, alle poesie e ai due romanzi giovanili (I fratelli Tanner e Jakob von Gunten), appare ora il suo ultimo lavoro di ampio respiro, scritto nel 1925, poco prima che si interrompesse la sua attività letteraria. Il titolo originale si rifà dichiaratamente alla tragedia di Schiller Die Räuber, che il pubblico italiano conosce soprattutto grazie al libretto d'opera per la musica di Verdi (1847) a cui Andrea Maffei diede il titolo ottocentesco I masnadieri. In copertina si vede appunto l'autore quindicenne in costume da masnadiero, ritratto ad acquerello dal fratello Karl, di un anno più vecchio di lui e destinato a una buona notorietà come pittore. Il brigante protagonista del romanzo è il più compiuto e maturo fra i tanti personaggi nei quali l'autore – a suo modo – si rispecchia e si descrive, anche se i dati autobiografici presenti nel testo sono come sempre velati e trasfigurati da una tecnica di scrittura arabescata, piena di continue divagazioni: "Una penna, piuttosto che fermarsi anche un attimo solo, parla volentieri di cose che non stanno né in cielo né in terra. Ecco uno dei possibili segreti della scrittura di rango, intendo dire: bisogna che una certa impulsività irrompa nello scrivere. Se tu non ci segui appieno, non ha nessuna importanza".
Per questo è problematico leggere Il brigante come un vero e proprio romanzo: per un verso, infatti, Walser utilizza tutte le convenzioni tipiche del genere (convenzioni di cui anche il semplice lettore è consapevole), ma lo fa in maniera così dichiarata e ostentata da stravolgere la credibilità del suo stesso testo. L'io narrante che appare in apertura sembra un narratore distaccato e onnisciente, che parla in prima persona (per lo più come "io", ma talvolta anche come "noi"), sottolinea il proprio distacco rispetto al brigante ("io sono io, e lui è lui") e gli rinfaccia "a muso duro le sue mancanze": in realtà il brigante, che si vanta di aver contribuito direttamente a scrivere il romanzo, condivide con il personaggio autobiografico molti tratti caratteristici. Come uomo, rivela gli aspetti più celati di una personalità problematica, e si pone in aperto conflitto con la società borghese in cui vive, trasformando il proprio bisogno di libertà in dichiarata volontà di autoemarginazione; come scrittore, affronta con ironia la richiesta degli editori e dei critici di modellare la sua scrittura sull'esempio di Gottfried Keller, e dichiara che la sua attività consiste nel rabberciare le proprie storie "depredando" i libriccini popolari di infimo ordine.
Un altro elemento che contribuisce a minare la credibilità del racconto è la stesura stessa del romanzo, in quanto il momento della scrittura e il variare degli stati d'animo dell'io narrante entrano di prepotenza nella pagina, insieme a un'altra presenza introdotta in modo assolutamente non convenzionale, vale a dire il lettore ("Come mi tremavano mani e gambe stamattina, solo al fuggevole pensiero di dovervi presentare un villanzone. Presentare a chi?"). Si tratta, in questo come in molti altri casi, di consapevoli infrazioni al galateo letterario, nel tentativo di abolire quel particolare tipo di finzione che è implicito nella forma scritta del linguaggio; la dimensione dell'oralità garantisce, per così dire, il contatto diretto e costante con il lettore, e l'interazione dialogica ha la funzione di ricostituire la compiutezza della propria personalità. Significativa in questo senso è la scena in cui il brigante chiede consiglio a un dottore, il quale ascolta la sua lunga esposizione e finisce per concludere: "A quanto pare lei si conosce a meraviglia, e viene meravigliosamente a patti con se stesso".
La traduzione sa affrontare assai bene le difficoltà non indifferenti di questo testo. L'andamento imprevedibile, gli sbalzi di registro e le intrusioni di ogni genere nella trama narrativa si assommano a una quantità incredibile di termini non consueti, spesso creati ex novo componendo elementi linguistici disparati. La traduzione segue il testo passo passo, cercando di identificarne di volta in volta le varie intenzioni, e trovando spesso un eccellente equivalente italiano.
Renata Buzzo Màrgari
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