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Un romanzo tanto breve quanto bello, La festa dell'insignificanza si potrebbe dire quasi un elogio alla stessa. Quante volte è capitato di incontrare qualcuno e non ricordarselo? O di non prestare particolare attenzione ad alcune persone? È proprio questo il punto del romanzo, perché Kundera ci mostra come spesso le persone più anonime sono quelle che poi si rivelano in qualche modo importanti. Riporta due esempi, tra cui la scelta del nome della città di Kant trasformato in Kaliningrad. Un particolare che si discosta un po' dal tema centrale è la conversazione immaginaria di uno dei personaggi con sua madre. Lui si sente in parte in debito con lei, nonostante lei lo abbia abbandonato col padre appena nato perché non lo voleva. Quindi cerca di spiegare il motivo per cui, secondo lei, mettere al mondo un essere umano sia una cosa indicibile. Questa parte mi è piaciuta davvero molto, ma anche nel complesso il romanzo non mi è dispiaciuto. Comunque non nego che tra le sue poche pagine ci possa perdere con i protagonisti di Kundera.
Uno scritto decisamente notevole, un soggetto splendidamente intelligente. Evviva l'insignificanza, un abito del quale ci si può vestire in ogni stagione, un leggero sussurro del quale ci si può innamorare, un luogo ricco di spazio nel quale ci si può rifugiare. Gli ambienti e le situazioni si adattano al tema del libro: cinico quanto umoristico, leggero quanto tagliente. Segnalo poi un'immagine particolarmente riuscita a mio parere: la piumetta leggera che si posa sull'indice della Franck è una trovata simbolica molto arguta, dà spazio al sipario della Festa ed ai suoi personaggi, li rallenta e li sfuoca. Mi piace anche se sotto sotto ci vedo una emulazione di Gogol, ma forse la vedo solo io.
Da rileggere, dopo averlo fatto decantare. Una seconda lettura districherà l'ingorgo riflessivo aperto dall'autore.
Recensioni
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