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L'ho letto incuriosita dalla vincita del Premio Nobel da parte dell'autore. Ho trovato questo libro proprio brutto, senza un filo conduttore, senza descrizioni particolarmente belle, senza nulla da ricordare. Non lo consiglio affatto e mi riprometto, in futuro, di leggere qualcos'altro di Le Clezio per capire come mai ha vinto il prestigioso Premio.
Ho cominciato il libro dopo che Le Clézio ha ottenuto il premio Nobel (come molti, credo) per avvicinarmi a un autore a me sconosciuto fino ad oggi. Nonostante i temi affrontati siano affascinanti e impegnativi, la lettura è risultata faticosa, è mancato un vero coinvolgimento. L'impressione è quella di un saggio scientifico ben approfondito ma senz'anima. La scoperta di miti, leggende, modi di vivere delle popolazioni autoctone di Vanuatu e dintorni poteva risultare un viaggio letterario unico e irripetibile. Invece è stata un'occasione mancata. Ora leggerò "L'africano" per capire definitivamente se questo autore sia adatto a me oppure no.
L'autore ti accompagna per mano in un mondo fantastico. Si viaggia insieme a lui. Che bella scrittura!
Recensioni
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Quest'opera di Le Clézio è al crocevia tra narrativa, reportage di viaggio e storiografia. I vagabondaggi tra le isole effettuati dal narratore gli offrono l'occasione di rievocare i miti dell'Oceania, commentarne la storia e descriverne gli abitanti. È l'Oceania, infatti, il continente cui fa riferimento il titolo, un continente "invisibile" di cui in genere si sa ben poco e che in queste pagine viene evocato attraverso le microstorie, i gesti quotidiani, le persone che l'autore ha avuto modo di incontrare e di ascoltare. Anche i miti e il folklore sono qui sempre visti "in filigrana", ovvero in rapporto alla storia con la "S" maiuscola e alle cronache presenti negli archivi ufficiali. E così, seguendo le parole di Le Clézio, ci si ritrova in epoca precoloniale su una piroga che veleggia da un'isola all'altra, poi nell'Ottocento a leggere le gazzette coloniali, e infine nel presente a contemplare il mare e le montagne vulcaniche dell'Oceania. Una gran parte del breve saggio è dedicata poi al concetto di isola, al paesaggio vulcanico, alla descrizione sociale della vita di oggi, agli usi ancestrali, come quello della fabbricazione di stuoie a tema.
In realtà, il protagonista vero di quest'opera è il viaggio, la cui unica ragione, scrive l'autore, "dovrebbe essere quella di misurare con esattezza i limiti della propria conoscenza". Facile indovinare, infatti, che il viaggio intrapreso dall'autore è anche, in certa misura, un viaggio di scoperta interiore. Non a caso, Jean Marie Gustave Le Clézio è un narratore dall'immagine pubblica molto discussa. Novello Chatwin, sempre alle prese con viaggi lontanissimi dalle comuni mete turistiche, Le Clézio ha costruito un'immagine di sé che si confonde con quelle dei suoi personaggi, sempre in cammino, sempre in balia degli eventi da un continente all'altro. Francese di origine bretone e mauriziana, questo scrittore tiene anche a narrare i disastri delle colonizzazioni e delle decolonizzazioni affrettate o incomplete. Ma si può predicare l'anticolonialismo attraverso un racconto di viaggio, genere colonialista per eccellenza?
Di certo il gusto di Le Clézio ha subito l'influenza delle narrazioni dei coloni, dei missionari e dei conquistatori resi celebri dalle loro esplorazioni, ma ci mostra con i suoi scritti che è possibile raccontare il viaggio cercando di evitare un'impostazione coloniale. Le allusioni e i paragoni a paesi lontanissimi tra loro, il glossario infarcito di riferimenti multiculturali fanno forse pensare a un collezionista di impressioni e di esperienze, ma non certo a un colonizzatore. Resta il dubbio che la stessa scrittura dell'altro, la descrizione di un paesaggio e di un popolo fatta dall'ultimo arrivato, costituisca comunque un atto paternalistico, per quanto involontario. Le donne e gli uomini che il narratore incontra, pur ineffabili e integri nella loro distanza, sono prima di tutto funzionali ai sogni e alle fantasie di chi è andato a incontrarli. La scelta degli aneddoti, le immagini evocate corrispondono a un disegno ideologico e a un messaggio che sono quelli di chi scrive, e non necessariamente quelli delle persone incontrate, qui ridotte, per forza di cose, a personaggi. Paola Ghinelli
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