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La verità di carta. Romanzo a palazzo di giustizia - Paolo Toso - copertina
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Descrizione


Quando Enrico Chiari viene arrestato per "turbata libertà degli incanti" non sa nemmeno di avere commesso un reato. È un ingegnere e ha partecipato a una gara d'appalto assieme a un geometra rampante; due settimane di carcere gli bastano per decidere di smarcarsi dal nuovo socio e fare da solo. Accompagnato da un'avvocatessa d'ufficio alle prime armi, si presenta dal magistrato per spiegare come sono andate le cose, per riappropriarsi della propria dignità e della verità. Scoprirà che i riti della giustizia sono complessi, a tratti indecifrabili. Nei mesi che trascorrono tra gli innumerevoli atti di un procedimento legale che sembra avvicinarsi e allontanarsi come un miraggio, mentre fa amicizia con un ladro di profumi conosciuto in cella e tenta incerti rapporti epistolari con la fidanzata lontana, Enrico torna a poco a poco a riconoscersi; se la giustizia appare restia ad assumere posizioni nette, la tortuosa strada intrapresa finisce comunque per restituirgli qualcosa che aveva perso senza accorgersene.
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Dettagli

2012
27 febbraio 2012
227 p., Brossura
9788846101716

Voce della critica

Con il romanzo La verità di carta, Paolo Toso, giovane ma già affermato pm della Procura di Torino, trasferisce sul piano letterario storie e soprattutto riflessioni che sono risultato e patrimonio del suo quotidiano impegno giudiziario. Le amarezze e le frustrazioni che ormai sono inevitabili corollari del lavoro del magistrato sono qui scolpite con la pazienza dello "spettatore di se stesso", che nel contempo studia il mondo circostante con la freddezza dell'entomologo (e l'espressione non vuol essere per nulla irriverente…). Un giovane ingegnere torinese, Enrico Chiari, accetta di partecipare alla turbativa di una gara in pubblico appalto. Finisce in carcere per sedici giorni. Esce cambiato e vuole "riappropriarsi di sé", vuole "indietro la sua faccia". Perciò decide di affrontare il processo come "luogo in cui portare un segno di umana autenticità"; per scoprire invece che si tratta di "una recita e niente più". Perché un conto è la verità, tutt'altra faccenda è la sua dimostrazione, che deve fare i conti, fra l'altro, con la conoscenza "debole" che ontologicamente caratterizza il mestiere di giudicare. Posto che "le carte degli ingegneri contengono fatti che cambieranno la realtà", mentre quelle dei giudici contengono "opinioni", e i fatti, "pur essendo già successi, sono tratteggiati in lontananza": una "verità di carta", appunto. Il paradosso (tale può apparire ai non addetti ai lavori, ma nella realistica narrazione di Toso il relativo percorso risulta tutt'affatto "logico") è che l'ingegner Chiari confessa senza riserve il reato commesso e ce la mette davvero tutta per farsi condannare e "riparare", ma proprio non ci riesce. Un manipolo di avvocati spregiudicati, arroganti e cialtroni difende con ogni possibile artificio dialettico e processuale i coimputati di Chiari, che alla fine sono assolti, trascinando con sé lo stesso Chiari, che per riscattarsi avrebbe voluto invece distinguersi da loro. Il tutto favorito e, anzi, incentivato da un groviglio labirintico di cavilli che fanno della nostra procedura penale una prateria sconfinata per eccezioni d'ogni tipo (le pagine di Toso dedicate allo scandalo delle "notifiche" sono tanto esemplari quanto vere, ancorché incredibili). Con sullo sfondo una "macchina" – si fa per dire – che ormai perde sempre più colpi, per continui tagli alle retribuzioni e all'organico del personale amministrativo, ormai falcidiato da pensionamenti senza nuove assunzioni e perciò ridotto a una specie… in via di estinzione. Il racconto di Toso non risparmia neppure i "chierici": ed ecco il giudice "con il consueto passo stanco e il capo chino", mentre il pm teorizza "l'estetica dell'impacchettamento", vale a dire che "spesso nel processo conta più il pacco che quello che c'è dentro"; e se il pacco "non è a norma", cioè confezionato secondo regole "precisissime" (cioè i cavilli che fanno del processo un percorso a ostacoli), "allora si butta via tutto", anche la verità, e "qualcuno ne approfitta". Ne risulta un pm che ha perso il gusto di "combattere" perché non crede più nella sua funzione, avvilita da regole stravolte, "spesso riscritte per far vincere una parte, di regola la più forte, o per far perdere lo Stato". Un pm rassegnato e disilluso, alla fine perdente. L'esatto contrario – prego di credere – di quel che Toso è nella realtà dell'effettivo esercizio delle sue funzioni. Ciò che finisce per costituire forse la principale chiave di lettura del libro: una denunzia obiettiva e spietata, argomentata e rigorosa, ma intrecciata con la speranza (convinta) che le cose prima o poi cambieranno nell'interesse della giustizia, altrimenti destinata a diventare sempre più un obiettivo retorico. Non tutto è cupo, peraltro, nel racconto di Toso. Nel composito mondo che l'autore ci fa conoscere attraverso l'esperienza giudiziaria dell'ingegner Chiari si possono cogliere anche sprazzi di luce, non prevalenti e tuttavia significativi. Un ruolo centrale, al riguardo, ha il difensore d'ufficio che Chiari (dopo aver rinunziato a un legale "doppiogiochista") ha la fortuna di incontrare: un'avvocatessa alle prime armi ma capace, onesta e piena di passione, che si immedesima nella situazione del "cliente" diventandone alla fine sinceramente amica. Figure positive sono anche quelle di due detenuti (un rapinatore per… disoccupazione e un immigrato clandestino del Burkina Faso incarcerato per una "bagatella", poi trasferito al Cie dove morirà cadendo dal tetto) intorno alle quali Toso tesse ‒ senza retorica, con semplicità che coinvolge e colpisce ‒ storie di vera solidarietà che soltanto gli "ultimi" sono capaci di creare. Infine, Agnese, la compagna di Enrico Chiari, che se ne va dall'Italia (medico in Africa) perché condanna la scelta che metterà l'ingegnere nei guai. Ma la sua presenza resta immanente nell'intero arco del racconto, grazie alla parola "onestà" da lei scritta su di un post-it lasciato a Enrico prima di partire, che questi tiene in evidenza (quasi fosse un costante richiamo) nella sua casa. Dove Agnese farà ritorno alla fine del romanzo, come a significare che nella vita, oltre alle "verità di carta", ve ne sono di più autentiche e genuine. Gian Carlo Caselli

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