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"Che fanno gli scienziati nei loro laboratori?" A questa domanda di una semplicità apparentemente disarmante cerca di rispondere lo studio di Paolo Volonté, almeno per quanto riguarda una parte di un esperimento di fisica delle alte energie che ha avuto luogo presso l'Istituto nazionale di fisica nucleare di Frascati (per una storia istituzionale di questo laboratorio, si veda il recente volume curato da Giovanni Battimelli, L'Istituto Nazionale di Fisica nucleare. Storia di una comunità di ricerca, Laterza, 2002). Il metodo adottato per l'indagine è altrettanto semplice, e pare ispirato all'invito di Wittgenstein, "Non pensare, guarda!": osservazione partecipante, annotazioni sul campo, interviste, un questionario strutturato, backtalk con i ricercatori per essere sicuro di aver capito bene. I risultati tuttavia sono di grande interesse per la comprensione di alcuni aspetti cruciali della scienza contemporanea come "fabbrica della conoscenza".
La bella ricerca di Volonté rappresenta il primo esperimento italiano di "etnografia del laboratorio", una pratica che è ormai ampiamente diffusa in ambienti anglosassoni, e non solo (Francia, Germania). In effetti, questa ricerca tende a verificare alcuni risultati di precedenti studi etnografici, come ad esempio: la stratificazione "sociale" all'interno della comunità scientifica dei fisici (teorici, sperimentali, sperimentali applicati, fisici di macchina); la funzionalità euristica di un'ampia democraticità e informalità nel lavoro d'equipe ("fisica alla macchinetta del caffè"); una certa chiusura "endogamica" della comunità dei fisici delle particelle; la centralità delle grandi macchine nello sviluppo della fisica contemporanea; la nascita di subculture specifiche con i propri miti, riti, personaggi, narrazioni, ecc.; l'uso di un linguaggio "selvaggio" e criptico della sperimentazione di laboratorio; la preponderanza della matematizzazione e della comunicazione visiva nella trasmissione della conoscenza scientifica.
La parte più interessante e innovativa del libro è la descrizione etnografica di una particolare negoziazione di conoscenza nell'ambito della presentazione da parte di un gruppo di ricerca ("kappa carichi") dei propri risultati, parte di un più ampio progetto di ricerca (Kloe) che si svolge con l'acceleratore dell'Infn (Dafne). Nel suo insieme l'esperimento di Frascati non sta andando molto bene perché l'acceleratore non è ancora a punto e non dà i risultati attesi, nel frattempo altri gruppi di ricerca hanno prodotto dati sperimentali su alcuni aspetti chiave del progetto: c'è quindi bisogno di riorganizzare la ricerca individuando nuovi obiettivi. Il problema è di una eventuale perdita di credibilità da parte dell'intera "collaborazione" (gruppo di ricerca legato a un grande esperimento) e soprattutto dei suoi esponenti di spicco. La soluzione che viene individuata nel corso di una serie di seminari di lavoro - che Volonté analizza in dettaglio - è quella di dare maggiore spazio a una parte dell'esperimento che era sembrato inizialmente marginale; questo può però avvenire solo al termine di una negoziazione estremamente serrata nel corso della quale il significato della sperimentazione e dei suoi risultati viene discusso, modificato e ricontestualizzato in vista dei nuovi obiettivi di ricerca.
Dal punto di vista teorico, partendo da posizioni fenomenologiche, Volonté affronta soprattutto il tema estremamente importante del "ciclo della credibilità" (al contrario di altri ambiti sociali, nella scienza la credibilità è lo scopo stesso dell'interazione e, come avviene per il capitale, il suo investimento non ha altro scopo che quello di acquisire ulteriore credibilità), discutendo e criticando le tesi di alcuni tra i maggiori sociologi della conoscenza scientifica come Warren Hagstrom, Bruno Latour, Steve Woolgar, Barry Barnes, Karin Knorr-Cetina e Pierre Bourdieu.
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