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Non è un romanzo, piuttosto una ricerca filologica, ricca di nozioni in numerose branche del sapere, a cominciare dalle scienze navali, in cui l’autore si profonde in uno sterminio di termini marinareschi e di costruzioni navali, che farebbero venire i brividi perfino agli esperti nel settore (l’autore deve avere avuto una piccola schiera di esperti che gli abbiano suggerito ogni singola frase). Poi prosegue in una carrellata sterminata sulle varie lingue indostane e linguaggi a noi ignoti dei cosiddetti lascari, divertendosi a citare un numero impressionante di frasi sia nei vari dialetti locali sia in traduzione in lingua franca. Questo gioco diventa piuttosto irritante per il lettore, che non credo abbia intenzione di andare a scuola di lingue. Lo stesso dicasi delle nozioni di botanica, dove l’autore non ci risparmia abbondanza di termini sia in vulgata sia in termini scientifici alla Linnaeus, per intenderci. Insomma, l’autore fa gran sfoggio di erudizione a tal punto da annoiare il lettore. Qual è allora la valenza di questo romanzo fiume? L’aver denunciato la prepotenza e arroganza del popolo inglese, predatore per eccellenza nelle sue sterminate colonie sparse per il mondo. Così si scopre che il Commonwealth tanto declamato dai colonizzatori è sì wealth (benessere, ricchezza) ma non per i sudditi bensì esclusivamente per i padroni, che si arricchiscono in maniera smisurata depredando i beni delle colonie e lasciando ai sudditi solo le briciole. Qui il danno è duplice e devastante: da una parte i cinesi costretti ad accettare oppio come pagamento del loro tè (con grave danno della popolazione). Dall’altra parte gl’indiani che vedono il loro territorio danneggiato dalla monocultura di papaveri da oppio, al punto che non c’è più cibo per la popolazione che muore di fame.
Avevo letto su una rivista letteraria la recensione della trilogia di Amitav Gosh ed, incautamente, l'avevo acquistata tutta. Ora che sono riuscito con immane fatica a finire il primo volume dell'opera, mi sto interrogando se continuare con gli altri due libri o se passare ad opere più di mio gusto. Cosa mi ha infastidito? Parecchie cose: prima fra tutte il linguaggio in cui si riscontrano termini marinareschi noti soltanto ai "lupi di mare" (qualche esempio: "calumare la gomena!", "scalmiere e tornichetti"; "le ancore della goletta erano spedate e i parrocchettieri pronti ad alare le drizze"; "il canestrello si è sganciato e il fiocco e la briglia del bompresso si sono impigliati nel buttafuori"; "stroppato con l'amantiglio"). E poi le inserzioni di intere frasi nei linguaggi più diversi, bengali, hindi e urdù che rompono lo scorrere della narrazione ed ancora le oscenità e le schifezze profuse a piene mani dall'autore in particolare nel descrivere le condizioni dei due prigionieri a bordo della nave Ibis. Cosa si salva? Forse la descrizione delle miserrime condizioni dell'India del XIX secolo, a cui si contrapponevano le smisurate ricchezze dei pochi privilegiati. Un opera a mio avviso sconsigliabile.
Bel libro letto con piacere sto aspettando il 3 è uscito ? Lo regalo a Natale , ma ho qualche problema a trovarlo .
Recensioni
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«Accadde alla fine dell'inverno, in un anno in cui i papaveri furono stranamente lenti nello spargerei petali: per chilometri e chilometri, da Benares in su, sembrava che il Gange scorresse tra ghiacciai paralleli, entrambe le sponde infatti erano coperte da una folta distesa di petali bianchi». Proprio sulla sponda del grande fiume sacro dell'India Deeti, la donna con gli occhi senza colore, dal fascino misterioso e scostante, ebbe la visione che le cambierà la vita: «un'enorme nave con due alti alberi, tra i quali erano tese grandi vele di un biancore accecanti».
Comincia così questo romanzo di Amitav Ghosh, considerato uno dei più grandi scrittori indiani di oggi, autore di successi internazionali tra cui Il cromosoma Calcutta, Il palazzo degli specchi e Il paese delle maree. Cantore dell'anima del grande subcontinente indiano, l'autore di Calcutta inaugura con Mare di papaveri una trilogia dedicata alla nascita dell'India moderna, raccontata attraverso l'epopea ottocentesca della nave inglese Ibis e del suo equipaggio multietnico in rotta verso il Golfo del Bengala per esercitare il traffico d'oppio. Durante le sue peregrinazioni nell'Oceano Indiano, l'Ibis, che in origine «era stata costruita per fungere da "blackbirder, nave negriera», non disdegna di occuparsi del trasporto di ribelli, predoni e criminali di ogni razza destinati alle colonie penali dell'Impero sparse nella zona. Il suo equipaggio è un gruppo di lascari, marinai appartenenti a razze diverse, cinesi, bengalesi, arabi e malesi, accomunati da un unico destino: veleggiare sui mari orientali. Tra gli ufficiali vanta invece un giovane ambizioso, con «la carnagione color avorio antico e una massa di capelli nerissimi e ricciuti»: è Zachary Reid, figlio di una schiava liberata del Maryland. La sua vita cambierà per sempre una volta a bordo della Ibis così come quella degli altri personaggi che incroceranno la rotta della goletta: Jodu, figlio di un barcaiolo di un villaggio a una ventina di chilometri da Calcutta, che da sempre desidera diventare lascaro; Paulette, orfana di origini francesi accolta nella propria famiglia da Mr Burnham, proprietario della Ibis; Serang Ali, capo dei lascari, «personaggio d'aspetto formidabile, con una faccia che avrebbe suscitato l'invidia di Gengis Khan» e infine la stessa Deeti che, dopo essere rimasta vedova, dovrà lottare per recuperare la libertà e ricostruirsi una vita, contro tutto e tutti.
Romanzo dei destini incrociati, epopea di passioni, perdite e riscatti, Mare di papaveri è una storia corale che racconta l'origine di una nuova civiltà sorta dalla mescolanza di etnie e culture diverse. Una narrazione piena di fascino orientale, con cui Amitav Gosh ci svela il cuore, inafferrabile e pieno di contraddizioni, di un paese e delle sue genti.
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