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Lo schiavo del manoscritto - Amitav Ghosh - copertina
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Lo schiavo del manoscritto - Amitav Ghosh - copertina
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Descrizione


Nell'estate del 1148 d.C. Khalaf ibn Ishaq, mercante in Palestina, scrive una lettera all'amico ebreo Abraham Ben Yijù, che viveva allora in una città di nome Mangalore, un porto sulla costa sudoccidentale dell'India. Parla di alcune merci inviategli da Ben Yijù, un carico di noci d'areca, due serrature prodotte in India, due coppe d'ottone, e annuncia all'amico che insieme con la lettera gli manderà alcuni doni: due vasi di zucchero, un vaso di mandorle e due di uvetta. Alla fine della missiva, Khalaf ibn Ishaq nomina quasi di sfuggita uno schiavo indiano di Ben Yijù al quale raccomanda di porgere «moltissimi ringraziamenti». La lettera è catalogata come manoscritto H.6 alla Biblioteca Nazionale e Universitaria di Gerusalemme. Attraversando i sottili confini che separano il presente dal passato, con in mano soltanto il frammento di questa lettera, Amitav Ghosh si mette alla ricerca dello schiavo indiano che vi è nominato, una figura che gli appare come una chiave per intendere e raccontare una Storia fatta di tante storie, diaspore e guerre, tradizioni e incontri, rotture e sparizioni. Centro della vicenda sono due villaggi egiziani, luoghi di uno straordinario apprendistato linguistico e umano, e punti di partenza per una lunga indagine.
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Dettagli

2009
3 settembre 2009
330 p., Brossura
9788854502246

Valutazioni e recensioni

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Erika Vecchietti
Recensioni: 4/5

Un intreccio non facile tra una ricerca d'archivio, sulle tracce dello schiavo indiano di un mercante ebreo del XII secolo vissuto per un periodo nel centro portuale di Mangalore, e i ricordi dell'autore, che nel condurre la ricerca entra in contatto con il mondo dei fellaheen del delta del Nilo in due soggiorni, dagli anni Ottanta alla vigilia della Guerra del Golfo. Stridente il contrasto tra il ricco passato multiculturale dei territori "ponte" tra Mediterraneo e Oceano Indiano e il presente, in cui l'unica via di riscatto dalla povertà dei fellaheen è quella di cercare lavoro nei Paesi del Golfo, dove i soldi si guadagnano al prezzo di fatica ed emarginazione. Un libro interessante, a tratti faticoso, sicuramente insolito quanto trovare un indiano in Egitto negli anni Ottanta del secolo scorso.

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Rigus68
Recensioni: 3/5

L’autore doveva avere un classificatore pieno di fotocopie e di appunti di ricerche su queste evanescenti tracce ritrovate su frammenti di lettere e documenti custoditi nella Geniza (magazzino, poi biblioteca annessa a una sinagoga) del Cairo. Non si può però ricostruire una vera e credibile storia basandosi su documenti praticamente inesistenti. Infatti non c’è storia dello schiavo del manoscritto H.6 e non ci potrebbe essere. Gosh gira mezzo mondo per scoprire che forse il suo nome era Bammo, o Bomma, magari una corruzione del nome Brahma. Un po’ poco per creare una storia. La vera valenza di questo racconto (non romanzo, ma affresco sociologico) è la narrazione, sull’arco di vent’anni (fino al 1988) degli eventi occorsi all’autore durante la sua permanenza nei villaggi egiziani di Lataifa e di Nashawy e di come questi poveri agricoltori, una volta quasi schiavi della gleba, si siano evoluti e le loro catapecchie trasformate in case in mattoni (da case in adobe e tetti di paglia) ben più vivibili e accessoriate. E questo, curiosamente, grazie alla guerra Iran-Iraq della fine degli anni settanta. Per mancanza di mano d’opera, decine di migliaia di fellah erano emigrati in Iraq per sostituire gli uomini in guerra. I buoni salari e le rimesse degli emigranti avevano prodotto quella straordinaria trasformazione dei poveri villaggi del delta del Nilo (in prossimità di Alessandria). Con un forte prezzo da pagare: alla fine della guerra, i poveri fellah erano stati scacciati dall’Iraq e perseguitati e perfino uccisi. Se accettate il fatto che questo non è un romanzo, lo potrete leggere e magari gustare.

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Maurizio Ricci
Recensioni: 5/5

La descrizione sintetica proposta, seppur lucida, non lascia intendere lo spessore di questo racconto; l'esilità della trama è bilanciata dalla precisione e dall'efficacia della costruzione. Da assaporare

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Amitav Ghosh

1956, Calcutta

Scrittore, giornalista e antropologo indiano. Ha studiato a Oxford e vive tra la sua città natale e New York. Considerato «uno dei più grandi scrittori indiani» (la Repubblica), è autore di numerosi libri di cui si citano: Il cerchio della ragione (Garzanti, 1986), Le linee d’ombra (Einaudi, 1990), I fantasmi della signora Gandhi (Einaudi, 1996). Per Neri Pozza ha pubblicato: Il paese delle maree (2005, 2015), Circostanze incendiarie (2006), Il palazzo degli specchi (2007), Il cromosoma Calcutta (2008), Mare di papaveri (2008, 2015), Il cromosoma Calcutta (2008), Lo schiavo del manoscritto (2009), Il fiume dell'oppio (2011), Diluvio di fuoco (2015), La grande cecità (2017), L'isola dei fucili (2019).

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