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La trama è ben studiata, le ambientazioni, specialmente quelle delle masserie molisane sono molto ben fatte ma, purtroppo, a me non è piaciuto. Una volta chiuso il libro non ho provato nostalgia né per Agapito né per nessun altro personaggio del libro, posso comunque riconoscerne un po' di merito. Non è da buttare, è un buon romanzo secondo me per approfondire un po' scrittura italiana contemporanea, ma niente di esaltante. Voto neutro
Finalista al premio Strega....????? Odio la bestemmia e se avessi saputo che lo scrittore nel suo libro ne fa uso non lo avrei mai letto.
e' un libro bellissimo, nel quale Piccirillo ha dato poesia all'abisso, in una simbologia complessa e mai scontata. Un viaggio oscuro, nei sotteranei di un vissuto al limite, e allo stesso tempo motivo di redenzione.
Recensioni
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Finalista Premio Strega 2014
Due scene fulminanti, una di seguito all’altra, nei primi capitoli del romanzo di Paolo Piccirillo, “La terra del sacerdote”. Nella prima tre uomini stuprano una giovane donna. Dal poco che ci viene detto sappiamo che il fatto avviene in Germania, che gli uomini sono arrivati lì per lavorare dal Meridione d’Italia, che sono dei poveracci che indossano abiti smessi che proprio quella donna aveva dato loro. Nella seconda c’è una ragazza che riesce a sfuggire alla sorveglianza di due vecchi, partorisce in un campo e abbandona il neonato sotto un albero, senza neppure accorgersi che è morto.
C’è qualcosa che accomuna le due scene - la violenza esplicita in una che, in qualche modo, avvertiamo nascosta anche nella seconda (quale madre abbandonerebbe così il suo bambino?), il fatto che siano donne le protagoniste, entrambe vittime di un sopruso che è chiaro in un caso e di cui ancora dobbiamo scoprire tutto, nel secondo. E poi c’è la terra sterile dove il neonato è stato lasciato sotto un albero che pare maledetto e che è chiamata ‘la terra del Sacerdote’: in realtà Agapito è un sacerdote spretato e la terra, che ora è sua, apparteneva ad un amico che era con lui in Germania. La terra è il prezzo del silenzio che Agapito ha fatto pagare all’amico. Il silenzio è una tradizione del Sud, il silenzio pesa nella casa di Agapito dove sua moglie sta morendo di cancro, il silenzio avvolge i casolari dove vengono ospitate donne come la fuggitiva Flori: arrivano dall’Europa dell’Est, devono ripagare i soldi del viaggio, o finiscono a fare le prostitute oppure sono obbligate a fare figli. Quattro bambini e poi sono in pari. Quattro bambini che possono essere venduti a coppie sterili oppure per prelievo e trapianto organi, oppure… c’è sempre un peggio. E non si sa quale sia il destino migliore, invece, per le donne. Agapito ospiterà Flori, la tratterà nel migliore dei modi, vede in lei una possibilità di riscatto, una sorta di risarcimento per interposta persona per qualcosa che pesa sul suo passato.
È un romanzo forte, “La terra del Sacerdote” di Paolo Piccirillo. Per i temi che tratta e per lo stile con cui li affronta. È come se questo fosse perfetto per quelli. Piccirillo non segue la diretta sequenza temporale, il passato e il presente, il luogo lontano dove sono accaduti i fatti del passato e il luogo vicino del presente si alternano senza preavviso, senza segnali indicatori, a fare un tutt’uno, a significare un perpetuarsi della violenza in forme diverse. Il contrasto fra la prolificità delle donne obbligate a fare figli e la sterilità dei casermoni della città, così come pure con quello della terra del Sacerdote, è stridente - eppure c’è qualcosa di sbagliato in entrambe. È un tema che ritorna in forme diverse, quello della sterilità - la moglie di Agapito che non riesce ad avere figli, la terra che, improvvisamente, dopo l’arrivo di Flori (e il suo nome significa parecchio) diventa fiorente, il neonato morto sotto l’albero e un altro bimbo che muore, più tardi, in Germania, l’innesto sulle piante e sulle vite umane. E la sterilità del cuore, che è meno evidente? Anche quella la rintracciamo in più di un personaggio. L’uso della metafora non pesa, tuttavia, in un racconto veloce e drammatico che si serve anche del dialetto e di frasi in un semplice tedesco per risultare più vero ed efficace. È un libro che fa pensare ai film del neorealismo, a pellicole che possono essere solo in bianco e nero perché le tragedie non sono a colori. Un libro stupefacente per uno scrittore così giovane che ha mantenuto le sue promesse: nel 2011 era stato scelto dal Festival della Letteratura di Mantova come rappresentante italiano per le Scritture giovani.
A cura di Wuz.it
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