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Biografia romanzata di Vincenzo Gemito dove la Marasco, come in altri suoi scritti, utilizza una narrazione onirica al limite del visionario, ma adattissima per penetrare i meandri della mente del protagonista. Gemito infatti è stato un artista estremamente tormentato che per lungo tempo ha sofferto di allucinazioni.Testo di non facile lettura, per i deliri narrati e per l'uso del dialetto, ma molto intenso. Lo consiglio.
Wanda Marasco è geniale ed estremamente colta. Ho auto la fortuna di conoscerla ed ascoltare dal vivo la sua esperienza di vita e di scrittrice! Nei suoi libri ci sono Anima e Cuore! Sono scritti benissimo ed arrivano a toccare corde nell’animo di chi legge, che raramente vengono raggiunte da altri. Consigliato vivamente, come anche l’alto libro che ho preso nello stesso ordine “La compagnia delle anime finte”. Bello e commovente! Da leggere!
Vincenzo Gemito, "meschino per nascita, magnifico per natura", alieno da compromessi, violento, passionale di una "passione violenta e umiliata", così nella vita così nell'arte: un uomo i cui capolavori furono "ruggiti" e che, anche nella follia, fu capace "di volontà dentro lo spazio della sua cella". Romanzo biografico o biografia romanzata, il libro della Marasco si snoda come un lungo monologo della follia, dove ricordi e dialoghi si rincorrono nel tempo e nello spazio, con risultati davvero di grande effetto. Il suo immaginario vibrante e potente non è riservato al solo Gemito, ma anche alla galleria di uomini e, soprattutto, donne della sua vita: riuscitissimi (e toccanti) i ritratti della madre Giuseppina, dell'amante Matilde (con cui si apre il romanzo) e della figlia Peppinella (con cui si chiude). La lingua è elegante e sofisticata anche quando si serve del dialetto: che dire di una luce lunare, "quoziente onirico della luce"? O degli occhi di Giuseppina che "a ogni allattata si squagliavano come quelli di una Psiche"? L'uso del dialetto finisce per incidere su dialoghi e pensieri, anche i più banali, esaltandone drammaticità o ridicolo, a seconda del contesto: comici ho trovato, ad esempio, il dialogo tra Ernest Meissonier e Vincenzo (dove alle considerazioni, in francese, dell'uno, su Napoleone e la Comune, fanno eco i pensieri/risposte, in napoletano, dell'altro) e anche quel coltello, con cui Viciè voleva uccidere la moglie e l'amico, finito inopinatamente tra i "vruòccule". Un ritratto, quello della Marasco, che sa di vero e di profondamente sentito, nella celebrazione di un artista tormentato, fino alla morte (come l'altro Vincent, suo contemporaneo), dal tarlo dell'inadeguatezza e dal dubbio del fallimento. Perchè, come dice Vincenzo alla morte di Matilde: "non ci sta vergogna più grande della grazia perduta".
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