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La vita davanti a sé - Romain Gary - copertina
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vita davanti a sé

Descrizione


La storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l'esistenza è vista e raccontata con l'innocenza di un bambino.

«I romanzi irresistibili sono rari. "La vita davanti a sé", il capolavoro di Romain Gary, fa parte di quei libri che sconvolgono l'equilibrio affettivo del lettore»Yann Queffélec

«Un romanzo toccato dalla grazia, l'esistenza vista e raccontata con l'occhio innocente di un bambino»Stenio Solinas

«Gary scrive in una lingua chiara, aerea, energica, come in certe pagine di Hemingway...»Jérôme Garcin, Dictionnaire de la littérature française du 20ème siècle

«Gary ha incarnato il mito stesso della seduzione»Livres Hebdo

Il pomeriggio del 3 dicembre del 1980, Romain Gary si recò da Charvet, in place Vendôme a Parigi, e acquistò una vestaglia di seta rossa. Aveva deciso di ammazzarsi con un colpo di pistola alla testa e, per delicatezza verso il prossimo, aveva pensato di indossare una vestaglia di quel colore perché il sangue non si notasse troppo. Nella sua casa di rue du Bac sistemò tutto con cura, gli oggetti personali, la pistola, la vestaglia. Poi prese un biglietto e vi scrisse: «Nessun rapporto con Jean Seberg. I patiti dei cuori infranti sono pregati di rivolgersi altrove». L'anno prima Jean Seberg, la sua ex moglie, l'attrice americana, l'adolescente triste di Bonjour tristesse, era stata trovata nuda, sbronza e morta dentro una macchina. Aveva 40 anni. Si erano sposati nel 1962, 24 anni lei, il doppio lui. Il colpo di pistola con cui Romain Gary si uccise la notte del 3 dicembre 1980 fece scalpore nella società letteraria parigina, ma non giunse completamente inaspettato. Eroe di guerra, diplomatico, viaggiatore, cineasta, tombeur de femmes, vincitore di un Goncourt, Gary era considerato un sopravvissuto, un romanziere a fine corsa, senza più nulla da dire. Pochi mesi dopo la sua morte, il colpo di scena. Con la pubblicazione postuma di Vie et mort d'Emile Ajar, si seppe che Emile Ajar, il romanziere più promettente degli anni Settanta, il vincitore, cinque anni prima, del Goncourt con La vita davanti a sé, l'inventore di un gergo da banlieu e da emigrazione, il cantore di quella Francia multietnica che cominciava a cambiare il volto di Parigi, altri non era che Romain Gary. «Venti anni prima di Pennac e degli scrittori dell'immigrazione araba, ecco la storia di Momo, ragazzino arabo nella banlieu di Belleville, figlio di nessuno, accudito da una vecchia prostituta ebrea, Madame Rosa» (Stenio Solinas). È la storia di un amore materno in un condominio della periferia francese dove non contano i legami di sangue e le tragedie della storia svaniscono davanti alla vita, al semplice desiderio e alla gioia di vivere. Un romanzo toccato dalla grazia, in cui l'esistenza è vista e raccontata con l'innocenza di un bambino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».

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Dettagli

19
2014
28 agosto 2014
224 p., Rilegato
9788854508347

Valutazioni e recensioni

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lela
Recensioni: 5/5
Malinconico

La malinconia raccontata direttamente da Momo, un bambino adottato da una ex prostituta... Si sentono vividamente tutte le emozioni provate dal giovane protagonista. Lo straconsiglio

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Lettore_Solitario
Recensioni: 5/5
Inventa il gergo dell'emarginazione

Libro notevole perché inventa un gergo e lo usa per creare un personaggio di adolescente straordinario, sguardo diverso sul mondo, da emarginato, ultimo, ma energico, vitale, che ci fa comprendere quanto sia miope e conformata la nostra visione borghese.

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Sussurri_tra_le_pagine
Recensioni: 5/5
Premio gouncourt

Momò racconterà questo mondo, l'unico che ha conosciuto, rivolgendosi direttamente al lettore, come se facesse una confidenza ad un vecchio amico. Perchè Momò è coraggioso. Momò è forte. Momò sa affrontare le sfide che questa vita maligna gli pone davanti. Momò, è  un bambino di 10 anni "poco più, poco meno" che non ha mai conosciuto l'amore. "Una volta, davanti a una drogheria, ho rubato un uovo e la padrona mi ha visto. Preferivo rubare dove c’era una donna, perché l’unica cosa che ero sicuro era che mia madre era una donna, non può essere diversamente. Ho preso un uovo e me lo sono messo in tasca. È venuta la padrona e io mi aspettavo che mi desse uno schiaffo per farmi ben nota­re. Invece mi si è accoccolata vicino e mi ha accarezzato la testa. Mi ha perfino detto: "Come sei carino!". Sul primo momento ho pensato che volesse riavere il suo uovo con le buone e l’ho tenuto stretto nella mano, in fondo alla tasca. Bastava soltanto che mi desse uno schiaffo per punirmi, è questo che deve fare una madre quando si accor­ge di te. Invece si è alzata, è andata dietro al banco e mi ha dato un altro uovo. Poi mi ha baciato. Ho avuto un momen­to di speranza che non vi posso descrivere perché non è pos­sibile. Sono rimasto tutta la mattina davanti al negozio ad aspettare. Non so mica che cosa aspettavo. Di tanto in tanto la buona donna mi sorrideva e io rimanevo là col mio uovo in mano. Avevo sei anni poco più poco meno e credevo che fosse un grande amore mentre era soltanto un uovo." SEGUIMI SU INSTAGRAM: SUSSURRI_TRA_LE_PAGINE

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Voce della critica

 A cura di: Il Rifugio dell'Ircocervo



La pubblicazione nel 1975 di “La vita davanti a sé” fu accolta in Francia come un caso editoriale, destinata a ispirare film e a diventare un classico della letteratura francese. Il suo autore era un perfetto sconosciuto, Emile Ajar. Ma in verità, Emile Ajar non esisteva. Si scoprì soltanto nel 1981, quando il vero autore, Romain Gary, Prix Goncourt nel ’56, era già morto, suicida, lasciando un biglietto: “Mi sono divertito abbastanza.”

Nel 1975 la critica riteneva Gary uno scrittore finito, fallito, ormai vecchio, ma egli trovò un modo per dimostrare che così non era: inventò una nuova identità, scrisse un’opera diversissima dal suo solito, e fu osannato e poi consacrato – proprio da quei critici con lui impietosi – come vincitore del Prix Goncourt (per la seconda volta, cosa che da regolamento del prestigioso premio non è possibile).

Gary è stato un genio e un mistificatore, e tutto questo basterebbe a rendere interessante La vita davanti a sé, se non fosse ch’è anche un romanzo meraviglioso.

Siamo nella Parigi multietnica del 1970. La storia è raccontata in prima persona da Momò, un ragazzino arabo, forse algerino, figlio di ignota prostituta. Come tanti altri “figli di puttana” (così lui stesso si definisce) vive nella ‘rifugio’ di Madame Rosa, una ex prostituta ormai anziana, grassa e malata, che alleva clandestinamente i figli accidentali di cui le sue colleghe sono costrette a liberarsi.

Momò ha dieci anni, ma se ne sente molti di più. Non sono mai stato bambino, risponde alla gente stupita dal suo modo di parlare della vita. Cresce tra ebrei, emigrati africani, orfani, prostitute, mezzani, transessuali, tossici, circensi – questi i tipi umani che affollano il romanzo. Il suo miglior amico è Arthur, un vecchio ombrello vestito come una persona. Quando i grandi gli dicono con invidia che ha tutta la vita davanti a sé, lui si risente che glielo rinfaccino, non è mica una bella cosa. Vorrebbe soltanto poter tornare indietro, quando Madame Rosa era ancora giovane e bella, non grassa e malata come adesso. Non ha nessuno al mondo tranne lei, e lei non ha nessuno al mondo tranne lui.

Madame Rosa è ebrea, sopravvissuta ad Auschwitz. Sotto il letto conserva una foto di Hitler, la guarda quando si sente male, così da ricordarsi che le cose possono andar peggio. Sa che i suoi giorni sono contati, ma il suo sogno è di morire da sola, in campagna, e non in uno ospedale, dove ti fanno campare per anni come un vegetale. “Di ospedale non voleva nemmeno sentirne parlare, perché ti ci fanno morire fino alla fine invece di farti una puntura. Diceva che in Francia erano contrari alla morte dolce e ti costringevano a vivere fino a quando non riuscivi a schiattare” (p.80)

Pur nella miseria, Madame Rosa e Momò restano uno insieme all’altro, lottando con la vita e contro la vita. Ma quella che potrebbe sembrare una storia terribilmente infelice è scritta da Gary con genuinità e brio. Anche la povertà, l’infanzia preclusa, la mancanza di una famiglia, le discriminazioni di religione e d’ogni tipo sono trattate con ironia (che non è mai irriverenza) e una certa tenerezza. Il tutto è raccontato con la voce ingenua e puerile di Momò, in una lingua che mescola un gergo infantile e volgare insieme.

“Ascolta, Momò, tu sei il più grande, devi dare l’esempio: non devi più fare casino con tua madre. Avete la fortuna di non conoscere le vostre madri, perché alla vostra età c’è ancora la sensibilità, e loro sono delle puttane spudorate, roba da non crederci. Tu lo sai che cos’è una puttana?”

“È una che si guadagna da vivere col culo.”

“Mi domando dove hai imparato delle mostruosità di questo genere, ma c’è molto di vero in quello che dici.”

“Anche voi, Madame Rosa, vi siete guadagnata da vivere col culo quando eravate giovane e bella?”

Ha sorriso, le faceva piacere sentir dire che era stata giovane e bella.

Gary, attraverso la storia di una amicizia impossibile tra un bambino orfano e una vecchia prostituta malata, mostra altresì la (dura) vita degli emigrati stranieri a Parigi, il che assume un significato politico molto importante: erano anni in cui la Francia usciva da una grave crisi politica e sociale in concomitanza con la non pacifica decolonizzazione dei suoi possedimenti in Africa e Asia (su tutte si pensi alla lunga Guerra d’Algeria) e alla consequenziale ondata migratoria. Non è un caso se Momò si dice algerino.

Al pari degli altri bambini stranieri, egli è emarginato, privo di presente e soprattutto di futuro. Più volte si definisce “una merda”. È dedito a piccoli furti perché ha bisogno che qualcuno si accorga di lui; si getta davanti alle auto in corsa perché gode della cura con cui la gente evita di investirlo, e gode anche nel far loro paura.

Avevo anche voglia di farle più paura ma non era nei miei mezzi. Non ero ancora sicuro se sarei stato nella polizia o nei terroristi, vedrò più tardi quando ci sarò… Se volete sapere la mia opinione, se i ragazzi a mano armata sono così è perché non li avevano scoperti quando erano bambini e sono rimasti né visti né conosciuti. Ci sono troppi bambini per accorgersene, ce n’è persino di quelli costretti a morire di fame per farsi notare, oppure fanno delle bande per mettersi in mostra. (p.98)

“La vita davanti a sé”: un romanzo che è un caleidoscopio di personaggi pittoreschi, che incanta, stupisce, emoziona e diverte con l’acume e la delicatezza di un autore eccezionale. Romain Gary possiede la rara grazia narrativa per scrivere una storia sull’infanzia preclusa, sulla miseria, sulla morte e l’emarginazione col candore di una favola – moderna, fortemente ancorata alla realtà e ancora oggi molto attuale.

Recensione di Giuseppe Rizzi

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Conosci l'autore

Romain Gary

1914, Vilnius

Romain Gary (Pseudonimo di Romain Kacev) nacque nel 1914. Lituano di nascita, nel 1928 si trasferì a Parigi. A trent'anni, Gary è un eroe di guerra (gli viene conferita la Legion d'honneur) e scrive il suo primo romanzo, Formiche a Stalingrado (1945), ispirato alla resistenza polacca contro i tedeschi, e che Sartre giudica il miglior testo sulla resistenza; comincia a lavorare come diplomatico per la Francia. Nel 1956 vince il Gouncourt con Le radici del cielo, ambientato in Africa, sulla lotta generosa di pochi volonterosi contro la decimazione degli elefanti, cui seguono, tra gli altri: La promessa dell’alba (1959), dedicato alla memoria della madre; Cane bianco (1970), di contenuto antirazzista; La vita davanti a sé (con lo pseudonimo di Émile...

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