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Luminosa signora. Lettera veneziana d'amore e d'eresia - Alfonso Lentini - copertina
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Descrizione


Una lettera d'amore concitata, fluviale, urgente. Una scrittura sospesa e friabile: volante come la luminosa signora cui è rivolta, eppure ancorata a una dimensione fortemente terrena e sensuale. Sullo sfondo di una Venezia travestita da fantasmagorica "città d'acqua", un uomo ferito da un proiettile giunto chissà da dove. Un padre che perde la ragione per averla troppo sfregata sulla superficie dei suoi sogni. Un "suonatore di silenzio" che incanta il pubblico zittendo di colpo la sua orchestra. E una casa ("costruita dagli ebrei nel Cinquecento") che si allarga e si restringe come la cassa di una fisarmonica. La destinataria della "lettera" è una figura fascinosa quanto sfuggente, forse reale o forse sbucata da un sogno, ma in ogni caso, come un ologramma o una creatura aliena, insensibile alle parole (e ai sentimenti) del suo interlocutore (evocando in questo la Luna leopardiana del Canto notturno: lontana e silenziosa, ma forse custode di verità precluse agli umani).
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Dettagli

2011
4 ottobre 2011
120 p., Brossura
9788856401615

Voce della critica

  La parola e la memoria sono il filo rosso di questo breve romanzo in forma di lettera che Alfonso Lentini ci consegna con la consueta levità formale unita a un pathos che addensa la trama di pensieri e immagini in uno sviluppo in progress e tuttavia non risolutivo. Come se, dall'indeterminatezza del progetto di scrittura che pervade l'incipit del romanzo (la lettera in cui lo scrivente dichiara di voler sottoporre alla "misteriosa signora" una serie di interrogativi e, su tutti, l'indefinita "Domanda Maggiore"), il lettore fosse guidato, tra apparizioni e scomparse, verso un punto d'approdo, uno svelamento; per condividere infine, con l'autore, l'anelito inappagato di conoscenza, il gusto amaro dell'incompiutezza di ogni ricerca. È in fondo lo stesso percorso delle creature palpitanti e inquiete del romanzo: una donna misteriosa e sfuggente, che convive con lo scrivente, senza tuttavia accorgersi di lui, in una casa "in continua ebollizione" trasfigurata in mondo vegetale; Venezia, la "Città d'acqua", sempre in bilico tra scomparsa e svelamento; un uomo, il padre, che ha riposto le speranze in una fede politica fondata sulla certezza del pensiero e della parola, e, sconfitto, si ritrova a stampare i cocci di quelle parole impazzite in sequenze di segni privi di senso. E infine l'autore della lettera, un "fabbricante di libri", dalla marcescente ferita sul viso, che brama risposte, ma finirà per perdere anche i connotati della "Domanda Maggiore", consumata, come il resto, in uno sfarinamento che è l'emblema di un anelito alla resistenza, possibile forse solo attraverso la memoria. Forse, appunto. Perché anche la memoria è affidata alle parole, che portano l'impronta della caducità umana: "Se fossimo compiuti ci basterebbe una sola parola. Una parola sola per salvarci tutti" dice l'autore della lettera. E invece "tutti noi non siamo che impronte, prove, tentativi venuti male di una creazione incompiuta". Saverio Vasta

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