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libro deludente, di Cocteau non c'è quasi niente. Veste tipografica ottima per nascondere un quasi niente.
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Jean Cocteau morì nei pressi di Fontainebleau nel 1963; nel corso della sua scintillante e prolifica attività aveva molto scritto per il teatro e disegnato scene e costumi per i balletti di Sergey Djagilev. In breve, con la sua versatile intelligenza aveva fatto di tutto: dopo aver esordito come poeta nel 1909, ebbe successo con il romanzo Les enfants terribles (1929) e con taluni suoi film. Fu parte, con il suo versatile e gioioso talento, dell’avanguardia parigina tra le due guerre: suoi amici furono Picasso, Stravinskj, Satie, Apollinaire ma intrattenne anche rapporti con i più compassati Mauriac, Rostand, Péguy e con Proust che ammira, in una sua nota, il bellissimo ritratto a punta di penna che gli fece Picasso. Dunque questo libriccino, nella accorta traduzione di Sergio Baratto che l’introduce con una breve nota, è una piccola ghiottoneria: raccoglie testi sparsi scritti nel tempo per le più svariate occasioni. Il primo risale al 1921, e sono poche pagine per una guida. Il secondo, Parigi, del 1942, ha una sua struttura e ci dà una definizione perspicace della Ville Lumière: “La nostra città, incredibilmente elaborata, stratificata, ingarbugliata, fatta di ombre e di penombre, deve apparire all’osservatore come uno spazio pubblico ciarliero e frivolo”. I modi di conoscerla possono esser quello della talpa – immagine felice – o quello dell’uccello. L’autore, novello Rastignac, sale a Montmartre. Di lì Parigi si vede particolarmente bene. Nasconde mille insidie perché la città “inganna le persone che la conoscono male. Parigi non è affatto gentile. Parigi è aggressiva”. Dalla collina si scorgono torri, pinnacoli, grandi complessi monumentali, ma anche isole, penisole, la morgue, mercati enormi, cupole sfavillanti d’oro. Cocteau ci dice inoltre che abitò al Palais-Royal, a cui dedica un testo colmo di tenerezza: belle pagine, molto più tarde, su quel quartiere che è “una piccola città in una grande città”. Il testo Il nuovo teatro ha un esordio assai bello nella sua icasticità: “Parigi ha due fiumi. L’altro è il boulevard”.
Note sull’amore sono appunti, aforismi, frizzi sul tema. Ne citerò uno solo, che mi pare riassuma lo spiccato senso dell’ironia di Cocteau e rasenti il sarcasmo: “… Le Confessioni di Rousseau, dove sicuramente ha dimostrato più doti romanzesche che nella Nuova Eloisa”. Siamo giunti così a p. 41 di questo delizioso libello: segue un testo, la Parigi di Cocteau, a cura di Marianna Malacrida. Per il vero ci saremmo attesi aderenza al titolo, ma così non è. Sono divagazioni sulle piazze, i giardini, i café, i luoghi cari all’autrice nel cui merito mi guardo bene dall’entrare: ma laPasserelle Simone de Beauvoir, Jean Cocteau non l’ha mai percorsa, come non ha mai visto l’Institut du Monde arabe e l’orrenda Tour Montparnasse che distrusse un antico quartiere. Era già morto. Dunque non è la Parigi di Cocteau, come titola l’autrice. Non sarebbe stato più utile riempire le pagine necessarie per fare di questi testi un piccolo libro con qualche disegno di Cocteau, e magari con il ritratto che gli fece Picasso e con una scelta delle foto celeberrime che lo ritraggono nel corso della sua vita?
Recensione di Cesare de Seta
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