Le tre notti dell'abbondanza

Questo romanzo mi ha stregata! È la storia di tre ragazzini che vivono in un paese della Calabria dal nome pieno di dubbi, Fosco, e che vengono a conoscenza di un grande segreto di cui sarebbe stato meglio non sapere nulla. La storia evolve con esiti inaspettati, tragici, mentre gli anni passano, per poi diventare una storia di rinascita verso una nuova dimensione e nuovi equilibri. La scrittura di Paola Cereda è densa, potente, mai lasciata al caso. Si parla di 'ndrangheta, di donne coraggiose e di donne che non lo sono, della potenza che può avere una scala che scende al mare e il cui accesso è negato, per cui il mare, così vicino e così bello, diventa metafora di una libertà negata, o fintamente concessa. L' incipit, il primo breve capitolo, presenta il paese di Fosco, un paese dove la legge e l'esercito si fermano all'ultima curva prima di entrare in paese, la curva delle guardie. E il secondo capitolo introduce una dei protagonisti, Irene, coi suoi quindici anni, la sua freschezza ribelle e i suoi quaderni arancioni, sui quali disegna il suo diario di vita. E poi ci sono Rocco, personaggio al quale mi sono terribilmente affezionata, e Lino, che non capisce perché la sua diversità, che per lui è arte e ispirazione, sia rifiutata. E poi tanti altri personaggi, ognuno col proprio peso specifico, perché nulla, qui, è stato scritto per caso. Un libro da assaporare, con la consapevolezza che non lascerà indifferenti. Consigliatissimo!

Personalmente non credo ci fosse bisogno dell'ennesimo romanzo sulla mafia, affrontata poi in questo modo. E' una 'ndrangheta bucolica che fa solamente da sfondo alle vicende di "emancipazione" delle donne e ragazze di questa storia. Verso la fine del libro la storia si perde un po', lascia le vicende di Irene, che sembrava la protagonista principale, per seguire Angiolino al nord. Nel complesso una storia gradevole da leggere, ma niente di che; forse poteva anche essere più breve per evitare alcuni momenti ripetitivi e alcune sottolineature didascaliche.

Bellissimo libro. Ci ho ritrovato le suggestioni nelle quali mi ero persa da ragazzina leggendo dei mondi magici e al contempo reali raccontati da Gabriel Garcia Marquez. Sì, certo, lo so che il paragone è azzardato: come si fa a mettere sullo stesso piano un premio Nobel, un grande della letteratura mondiale con una giovane scrittrice italiana che racconta la vita e i personaggi di un paesino calabrese? Eppure... sono convinta che anche il grande Gabo, sorridendo sotto i suoi folti baffi, avrebbe amato questa storia. Con le sue figure di donne indomite, di tradizioni anacronistiche, di grandi passioni e di soprusi incredibili. Ma il compito di Paola Cereda per me è stato anche più gravoso, perché lei non scrive di mondi lontani e leggendari, ma di luoghi assolutamente reali. Non di violenze immaginarie ma di fatti crudi e veri. E lo fa raccontandoli dal di dentro, attraverso gli occhi di un gruppo di donne di età e temperamento diverso. E grado di ribellione differente. Non pensino i lettori e le lettrici calabresi che si tratti del solito sguardo "nordico" che non riesce mai a penetrare la loro cultura, ma solo a giudicarla. La scrittrice brianzola-torinese riesce a raccontare la vicenda con grande empatia, mai con supponenza. Riuscendo però a non perdere il senso profondo delle cose. Perché il diritto alla libertà dovrebbe essere di tutti. Specialmente delle donne. Il tutto, raccontato con una scrittura colorata, profumata, sonora, una scrittura che coinvolge tutti i sensi.