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romanzo Hollywood bianca di Stefano Falotico, scrittore, blogger e critico cinematografico, è ambientato in un bar notturno di Los Angeles, dove il proprietario (Clint) si adopera con i suoi clienti in ogni sorta di street filosophy e dialogo dell’assurdo con condimento di filosofia da garage, battute dissacranti, vicende di cronaca immaginarie, il tutto ruotante attorno al sogno americano. Già il titolo del libro contiene due citazioni, una di Charles Bukowski (Hollywood Holywood) e una di Dostoevskij (Le notti bianche), che in una qualche misura offrono le coordinate al lettore, attento, intellettuale, onnivoro, o semplice curioso che sia, di un affresco delizioso, che spazia dal soliloquio al dialogo brillante del gestore del bar con il suo pool di clientela, fatta di ogni genere di personaggi bizzarri, psicotici, o mitomani, i quali si adagiano sul nucleo narrativo, di tipo giallo - poliziesco, dell’assassinio di una celebrità (l’'attore J.Knox) attorno al quale ci si chiede in realtà il senso della vita stessa, interrogandosi sul significato dell’arte e del suo stretto rapporto di interdipendenza perpetua con l’esistenza. Come una volta ho detto al Falotico: la visione che hanno gli scrittori del mondo del cinema è di per sé alterata, e in un certo senso deviata, come se la letteratura fosse una lente che deforma la realtà, in particolar modo quella del cinema, che non è altro che teatro in immagini fotografiche (v. Il capolavoro di Chris Marker, La Jetée). Questo lavoro di Stefano Falotico, da lui definito appartenente ad un periodo acerbo, denota invece a mio giudizio una sorta di maturità, una proprietà di linguaggio notevole (conditio sine qua non dei suoi scritti) scorrevole e fresca, direi spumeggiante, che mostra ciò che saranno le numerose fatiche successive. Come diceva Charles Baudelaire: “quando vado a teatro l’unica cosa che mi piace è il lampadario”. L’opera del Falotico, inquadrata in un’ottica di desertificazione e massificazione dell’era digit
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