Se, come sostiene Bauman, la società occidentale attuale è "liquida" e se, per dirla con Giddens, la modernità comporta una frammentazione delle esistenze, della percezione del tempo e del luogo, tutto questo sembra tradursi, nei giovani italiani, in una nuova ricerca di certezze e di sicurezza.
La flessibilità infatti viene vissuta come precarietà e il giudizio negativo che ne danno è talmente unanime che si riscontrano solo impercettibili differenze tra il nord e il sud. A ciò si reagisce in primo luogo ripiegandosi sulla famiglia e sulla socialità ristretta ma anche - e non secondariamente - frapponendo una distanza tra il sé e la sfera politica, i cui rappresentanti, modalità e metodi appaiono inadeguati nel fornire risposte alle sfide che la globalizzazione sottopone alle loro stesse esistenze. Così, proprio mentre la "post-modernità" avanza, riemergono con forza domande, esigenze, bisogni, tipici della modernità: il lavoro, la pensione, gli ammortizzatori sociali, la sanità.
Tuttavia, emergono anche degli elementi contraddittori che segnalano potenzialità (inespresse) per un riposizionamento della politica: più della metà degli intervistati dichiara di esserne molto o abbastanza interessato. Una potenzialità evidentemente non sfruttata e una richiesta di partecipazione che non trova risposta.
Un soffitto di vetro sembra impedire a questi giovani di diventare attori in prima persona e di appropriarsi delle proprie esistenze. Vivono in famiglia, sono poco partecipi, altamente scolarizzati ma riconoscono alla cultura un valore relativo. Si definiscono "moderati",al più progressisti/riformatori, pochissimo rivoluzionari, più spesso tradizionali/conservatori. L'uscita dalla socialità ristretta per una socialità allargata che possa migliorare anche le condizioni di vita individuali non sembra in agenda. Per questo, più che in passato, spetterà alla politica attivarsi per non lasciare i giovani ai margini della sfera politica, sociale e professionale.
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