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Aldo Nove simula in questo elegante volumetto edito da Skira una sorta di diario tenuto in prima persona dalla cantante Mia Martini: nome impronunciabile a detta dei più, il suo, perché considerato di malaugurio. Quindi "mi chiamo..." diventa sospensione, censura, silenzio: e poi isolamento, condanna, persecuzione. In realtà Domenica Bertè fu convinta a cambiare nome per ragioni discografiche; ma le motivazioni del crudele mercato della canzone non riuscirono a modificare il suo carattere appassionato e fiero, ad addomesticarlo negli usuali compromessi commerciali, nei finti rapporti interpersonali di scambio interessato di favori. Le pagine di Nove adottano uno stile sincopato, smozzicato, a metà tra la prosa adolescenziale e la versificazione più elementare, nel tentativo di riprodurre la sofferenza psichica di un'anima scalfibile, ingenua e tormentata che non ha saputo adeguarsi alle esigenze produttive del mondo dello spettacolo. E così viene ripercorsa tutta la tragica vicenda umana di Mia, dalla nascita a Bagnara Calabra (secondogenita di quattro sorelle), al trasferimento nelle Marche, alla separazione dei genitori, ai suoi infantili tentativi di fuga da casa. E poi i primi passi nel mondo musicale, la droga e un'esperienza di carcere, la presunta rivalità con altre cantanti e con la sorella Loredana Bertè, l'invidia malevola dei colleghi, le prime dicerie sulla sua "stregoneria" e la sua fama di iettatrice, gli scarsi amori e un aborto, i successi e i fallimenti, la solitudine e l'idiota censura della televisione di stato. Ma questa sofferenza indicibile di una grande artista viene resa da Aldo Nove con una narrazione che ha qualcosa di compiaciuto e insieme irritante, con imperdonabili cadute nella retorica e nel cattivo gusto, come in questi simil-versi: "Ti prego, cuore./Smettila./Di battere./Così forte.", o nelle battute conclusive: "Non bastano le lacrime./ Non ho più occhi per piangerle./ Non voglio più vedere./ Più. // Adesso non c'è più poesia."
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